ESERCIZIO FISICO ELISIR DI LUNGA VITA

Qual è il segreto per vivere a lungo? Il fattore più incisivo è quello genetico. Ereditiamo la longevità dai nostri avi, attraverso geni modificati che proteggono contro il rischio di malattie legate all’ invecchiamento. È abbastanza comune trovare nello stesso albero genealogico persone con un’età media molto alta. L’ereditarietà aiuta, ma non basta. Se vogliamo garantirci una vita longeva e in salute, dobbiamo curare il nostro stile di vita e seguire un’alimentazione sana ed equilibrata. La Dieta Mediterranea è un ottimo modello alimentare. Se però vogliamo avere una marcia in più nel ritardare il processo di invecchiamento e, così, diminuire anche il rischio di malattie, è necessario aggiungere un altro fondamentale aspetto al nostro stile di vita. Praticare attività fisica in modo regolare e costante tutti i giorni, nell’ arco della nostra vita.

QUALCHE ESEMPIO VIRTUOSO DI LONGEVITÀ

Diversi ricercatori hanno concentrato la loro attenzione sull’ analisi di popolazioni longeve, caratterizzate dalla presenza di individui centenari. Il comune denominatore, oltre a un regime alimentare sano, è sempre l’attività fisica costante, anche fino a tarda età. Rinomato è il caso dei pescatori dell’isola di Okinawa, in Giappone, che non smettono mai di lavorare e praticano Tai Chi. A Loma Linda, in California, la popolazione cammina veloce e molto, oltre ad allenarsi in palestra. In Costa Rica, poi, sono abituati a lavorare fisicamente per tutta la vita. Esempi più vicini a noi, invece, sono i pastori sardi che percorrono a piedi almeno 8 Km al giorno, facendo sali e scendi attraverso le montagne nell’ entroterra. Oppure in Calabria, dove ci sono alcuni ultracentenari che si sono recati a piedi negli uliveti a lavorare fino da anziani.

L’ESERCIZIO FISICO OTTIMALE PER VIVERE A LUNGO

Per vivere fino a 100 anni, il segreto è scegliere l’attività fisica preferita. Un’attività che preveda il movimento di tutto il corpo per almeno 5-10 ore la settimana, ma senza eccedere. In modo tale da fornire i giusti stimoli all’ organismo per ottimizzarne le funzioni fisiologiche, nonché favorire il mantenimento della muscolatura. Quali sono dunque le attività più adatte per mantenerci in salute e a lungo? Se pensiamo che i nostri antenati, fin dalla preistoria, si muovevano camminando di buon passo attraverso territori vasti, possiamo comprendere che l’attività fisica ad hoc per il corpo umano è per eccellenza la camminata veloce. Il consiglio è praticare, per almeno 1 ora al giorno, una marcia costante e regolare, a passo sostenuto. Gli escamotage sono vari. Recarsi sul posto di lavoro a piedi, scendendo una o due fermate prima, andare a piedi ovunque di solito ci sposteremmo in auto o con i mezzi, evitare ascensore e scale mobili etc.

Alla camminata possiamo aggiungere un allenamento aerobico, come bicicletta, nuoto o corsa.Da praticare per almeno 30-40 minuti a giorni alterni, durante la settimana, e fino a 2 ore nei weekend. Con l’indicazione che dopo i primi 10 minuti di allenamento si dovrebbe iniziare a sudare. Meglio andare in bici che correre. La corsa, infatti, può essere troppo traumatica a livello di articolazioni, soprattutto se non si è atleticamente preparati oppure in caso di sovraccarico di allenamento. Ottimo utilizzare la bici per gli spostamenti in città, come pure avere una cyclette in casa da usare ogni tanto.Anche il nuoto va bene, nonostante i suoi effetti benefici in termini longevità sono ancora poco studiati. L’importante è usare i muscoli ogni giorno, per stimolarli e mantenerli attivi, ma senza esagerare per non danneggiarli.

COME PRATICARE AL MEGLIO L’ATTIVITÀ FISICA E COSA MANGIARE DOPO

Diversi studi scientifici mettono in relazione attività fisica e longevità, con risultati analoghi. Ovvero che per aumentare la prospettiva di vita è necessario praticare un allenamento aerobico moderato, con movimenti che bruciano tra 3 e 6 volte di più calorie rispetto a quanto si sta seduti (3-6 MET), con picchi di esercizio intenso (>6 MET). La riduzione della mortalità, poi,è riferita a intensità e quantità settimanale: 150-300 minuti di attività aerobica moderata (300) o intensa (150). Per rafforzare la muscolatura, il consiglio è di eseguire esercizi (con o senza pesi) per un sovraccarico di 65-70% del carico massimale. Infine, nell’ arco di 1-2 ore dopo ogni allenamento, è fondamentale consumare un pasto che contenga circa 30 gr. di proteine (per favorire la crescita dei muscoli).

FONTI

  1. Valter Longo, “La dieta della longevità” -Vallardi 2016
  2. Peter Bowes,“Loma Linda: The secret to a long healthy life?” – BBC News, Loma Linda, California– (data ultimo accesso 19-04-2019)
  3. Buettner, “The Blue Zones, Second Edition Dan Buettner PDF 9 Lessons for Living Longer From the People Who’ve Lived the Longest” – National Geographic, 2012
  4. Gebel K. Et Al., “Effect of Moderate to Vigorous Physical Activity on All-Cause Mortality in Middle-aged and Older Australians”, JAMA Intern Med. 2015 Jun;175(6):970-7. doi: 10.1001/jamainternmed.2015.0541.
  5. Arem H. et Al., “Leisure time physical activity and mortality: a detailed pooled analysis of the dose-response relationship”, JAMA Intern Med. 2015 Jun;175(6):959-67. doi: 10.1001/jamainternmed.2015.0533
  6. Paddon-Jones D, Rasmussen BB. “Dietary protein recommendations and the prevention of sarcopenia” CurrOpin Clin NutrMetab Care – 2009 Jan;12(1):86-90. doi: 10.1097/MCO.0b013e32831cef8b
  7. Kumar V.et Al. “Age-related differences in the dose-response relationship of muscle protein synthesis to resistance exercise in young and old men” – J Physiol – 2009 Jan 15;587(1):211-7. doi: 10.1113/jphysiol.2008.164483. Epub 2008 Nov 10.

In collaborazione con Redazione Fondazione Valter Longo Onlus
Fondazione Valter Longo Onlus ha l’obiettivo di fare divulgazione scientifica sensibilizzando la comunità scientifica e non, ad uno stile di vita salutare ed una corretta alimentazione tramite la produzione di articoli scientifici esplicativi, contenuti testuali, infografiche e multimediali, e la diffusione delle attività cliniche, scientifiche, divulgative ed educative della Fondazione e del suo team di professionisti. Percorsi alimentari, scoperte scientifiche, studi clinici, trattamenti e tecnologie, eventi di sensibilizzazione nazionale e internazionale, iniziative di prevenzione nonché ricette della Longevità sono solo alcuni dei temi affrontati in articoli e interviste di approfondimento pubblicati quotidianamente e scritti in collaborazione con gli specialisti della Fondazione. Attivissima anche sui social, la redazione di Fondazione Valter Longo Onlus propone inoltre una newsletter mensile inviata a tutti gli iscritti, per rimanere sempre aggiornati sulle più interessanti novità legate al mondo della Salute, Nutrizione e Longevità.

Partecipano alla redazione:
Romina Inés Cervigni
Alessandra Fedato
Maria Liliana Ciraulo
Corinna Montana Lampo
Cristina Villa

LO YOGA FA BENE A OGNI ETÀ, ANCHE DA ANZIANI

Che lo yoga faccia bene a mente e corpo è ormai risaputo. Tanto che arrivano continue conferme anche dal mondo scientifico. Una nuova ricerca dimostra che lo yoga fa bene a ogni età, anche agli anziani. A dirlo è uno studio pubblicato su International Journal of Behavioral Nutrition and Physical Activity (marzo 2019), in seguito a un’indagine condotta da un team di ricercatori inglesi presso The University of Edimburg (UK).In particolare, lo yoga mantiene il corpo flessibile e in salute, anche in età avanzata; come pure favorisce un buon riposo notturno e scaccia il malumore, con un effetto benefico anche per la mente.

IL PRIMO STUDIO SULLO YOGA CHE HA CONSIDERATO RICERCHE PASSATE

Lo studio in questione ha riguardato l’analisi dei dati emersi da 22 indagini precedenti, considerando 27 record differenti.Sono stati valutati gli effetti benefici dello yoga: da un lato, nel migliorare la funzione fisica (17 record); dall’altro, nel migliorare la qualità della vita correlata alla salute. Per farlo, sono stati incrociati i dati di alcuni database, ricercati sistematicamente nel settembre 2017 (MEDLINE, PsycInfo, CINAHL Plus, Scopus, Web of Science, Cochrane Library, EMBASE, SPORTDiscus, AMED e ProQuest).

I ricercatori hanno concentrato la loro attenzione sui benefici che lo yoga può apportare, considerando un campione di persone anziane, di età media di 60 anni e oltre. Senza sceglieregli individui sulla base di particolari malattie o condizioni di salute specifiche, ma distinguendo i due gruppi attraverso l’intervento dello yoga rispetto a controlli inattivi (per esempio: controllo della lista d’attesa, libretti sanitari etc.) o controlli attivi (per esempio: camminata, aerobica in poltrona etc.). Sono, quindi, state condotte due analisi:una revisione sistematica e una meta-analisi di studi controllati randomizzati, calcolate utilizzando modelli a effetti casuali.

I BENEFICI DELLO YOGASE PRATICATO CON REGOLARITÀ

In base ai risultati ottenuti, si è così dimostrato che una pratica costante dell’antica disciplina indiana, con sessioni della durata tra 30 e 90 minuti apporta svariati benefici. Nella sfera fisica deibenefici sul corpo, migliorano: equilibrio e flessibilità, forza degli arti inferiori, nonché capacità di movimento in generale. Inoltre, si hanno effettisalutari anche per la psiche: migliora la qualità del sonno, si riduce il rischio di cadere in depressione (abbastanza comune in età avanzata) e viene potenziata la vitalità in chi pratica yoga.

Secondo i ricercatori autori di questo studio, lo yoga dovrebbe essere promosso nelle Linee Guida sulle attività fisiche indicate per gli anziani. Questa disciplina è indicata anche per gli anziani, poiché consiste in una serie di esercizi e movimenti(asana) adattabili a qualsiasi livello di prestazione fisica e ad ogni età. In particolare, è l’Hatha Yoga che si presta a questo tipo diadeguamento ad personam.

Per ulteriori approfondimenti scientifici, legati a un corretto stile di vita e a sane abitudini alimentari, visitate il sito della FONDAZIONE VALTER LONGO, dove trovate anche diverse pubblicazioni di studi clinici.

FONTI

  1. Divya Sivaramakrishnanet Al. – The effects of yoga compared to active and inactive controls on physical function and health related quality of life in older adults- systematic review and meta-analysis of randomised controlled trials – International Journal of Behavioral Nutrition and Physical Activity (March 2019)
  2. The University of Edimburg -NEWS -Yoga improves health in later life, study says (data ultimo accesso 22.07.2019)

In collaborazione con Redazione Fondazione Valter Longo Onlus
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I MIRTILLI FANNO BENE AL CUORE

Mangiare mirtilli tutti i giorni riduce il rischio di malattie cardio-vascolari e diabete di tipo 2. A evidenziarlo è unaricerca portata avanti da un gruppo di ricercatori dell’UEA (University of East Anglia)in UK, in collaborazione con un team della Harvard University in USA. Lo studio è stato pubblicato su American Journal of Clinical Nutrition (giugno 2019). Scopriamo insieme i dettagli di questa indagine scientifica.

QUAL È LA PORZIONE IDEALE DI MIRTILLI

Secondo i risultati dello studio, per la salvaguardia del nostro cuore, la dose giusta di mirtilli è di 150 grammi al giorno. Con questa porzione, infatti, si arriva a una riduzione del rischio cardio-vascolare del 12-15%. I ricercatori hanno indagato gli effetti del consumo di mirtilli nella dieta quotidiana su un campione di 115 individui (di età compresa tra 50 e 75 anni) in sovrappeso oppure obesi, affetti da sindrome metabolica.

L’indagine è stata portata avanti per 6 mesi e i partecipanti sono stati suddivisi in tre gruppi: il primo consumava ogni giorno 150 grammi di mirtilli liofilizzati; il secondo ne ha assunto 75 grammi al giorno; mentre al terzo gruppo è stato somministrato un placebo con sapori e coloranti artificiali. I ricercatori hanno analizzato i dati relativi afunzione vascolare, resistenza insulinica e livelli di colesterolo. Dai risultati è emerso che glieffetti benefici su funzionalità vascolare e miglioramento della rigidità delle arterie si sono avuti solo nel gruppo che aveva assunto la dose massima di mirtilli: ovvero 150 grammi al giorno.

COSA DETERMINA GLI EFFETTI BENEFICI

In precedenza, altre ricerche scientifiche avevano dimostrato che i mirtilli riducono il rischio di sviluppare malattie come il diabete di tipo 2. La spiegazione degli effetti benefici per il cuore risiede negli antociani. Flavonoidi ad alto potere anti-ossidante, presenti in tutti i frutti di bosco, che ne caratterizzano il colore rosso e blu. Questi composti naturali vengono metabolizzati nel nostro intestino per produrre sostanze utili per la flora batterica e che svolgono un ruolo chiave nel metabolismo.

UN “ANTIDOTO” CONTRO LA SINDROME METABOLICA

Laricerca anglo-americana, nello specifico, ha voluto indagare l’effetto delle antocianine in relazione alla sindrome metabolica. Condizione che riguarda un terzo degli adulti occidentali e che comprende la presenza concomitante di almeno tre dei seguenti fattori: ipertensione, iperglicemia, trigliceridi elevati, colesterolo “cattivo” alto ed eccesso di grasso addominale. Condizioni che determinano un aumento del rischio per le malattie cardio-vascolari e il diabete di tipo 2.In conclusione, secondo gli esperti, i mirtilli e gli altri frutti di bosco andrebbero inseriti nelle strategie alimentari per ridurre il rischio cardio-vascolare e proteggere la salute del cuore, soprattutto negli individui a rischio.

Per ulteriori approfondimenti scientifici, legati a un corretto stile di vita e a sane abitudini alimentari, visitate il sito della FONDAZIONE VALTER LONGO, dove trovate anche diverse pubblicazioni di studi clinici.

FONTI

  1. Peter J Curtis et Al. – Blueberries improve biomarkers of cardiometabolic function in participants with metabolic syndrome results from a 6-month, double-blind, randomized controlled trial – The American Journal of Clinical Nutrition, June 2019

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QUANTO PESA L’OBESITÀ

Sono trascorsi oltre quattro mesi da quando, il 9 gennaio 2020, il nuovo Coronavirus SARS-CoV-2 è stato identificato in Cina, come causa della malattia respiratoria oggi nota come Covid-19.

Dall’inizio dell’epidemia sono quasi 4 milioni i casi nel mondo, con oltre 270mila morti. Purtroppo il nostro paese è stato tra quelli più colpiti, con quasi 200mila casi accertati dall’inizio dell’epidemia e oltre 30mila persone decedute.

Sebbene la tendenza dei contagi e dei decessi sia in miglioramento da alcune settimane, secondo l’OMS il rischio è ancora moderato per la popolazione generale, mentre per gli anziani e i soggetti con patologie croniche il rischio è ancora elevato.

In questo articolo Dati Coronavirus alla mano, abbiamo già parlato di come la presenza di altre patologie (ipertensione, diabete, malattie cardiovascolari, malattie respiratorie croniche, oltre alle malattie oncologiche) aumenti in modo significativo la mortalità per Covid-19. Si tratta di patologie spesso correlate all’obesità, e non stupisce quindi che il decorso di questa nuova infezione sia risultato tipicamente più grave e difficoltoso nei pazienti con peso in eccesso.

OBESITÀ

L’obesità è una condizione caratterizzata da un eccessivo accumulo di grasso corporeo, causata nella maggior parte dei casi da uno stile di vita non sano, e principalmente dalla combinazione di alimentazione sregolata (troppo cibo e/o cibo di cattiva qualità) e scarsa attività fisica.

Tecnicamente, si parla di obesità quando il rapporto tra il peso e il quadrato dell’altezza in metri, ossia l’Indice di Massa Corporea (IMC) nota anche come BMI (dall’inglese Body Mass Index), supera il valore di 30 kg/m2. Ad esempio, una persona che pesa 95 kg ed è alta 1,7 m, avrà un IMC di 32,8 Kg/m2: 95 Kg/1,7m2.

L’obesità è un grande problema per la salute pubblica, sia per il grande numero dei soggetti affetti (in Italia 1 persona su 10), che per le sue complicanze: malattie cardiovascolari (soprattutto ictus e infarto), ipertensione, diabete mellito di tipo II, sindrome metabolica, alcune tipologie di tumori (tra cui colon-retto, reni, mammella, prostata), malattie muscolo-scheletriche come l’artrosi.

OBESITÀ E COVID-19

Secondo diverse indagini, tra cui quelle svolte in Francia e negli USA, le persone obese che si ammalano di Covid-19 hanno più bisogno di ventilazione polmonare, ovvero si ammalano in forma più grave rispetto a persone normopeso.

Nell’indagine francese, il 90% delle persone con un grave sovrappeso ha avuto bisogno di ventilazione meccanica, ed è stato osservato che il rischio di ricovero in terapia intensiva aumenta all’ aumentare del IMC, rischio che infatti si dimezza in pazienti con peso normale; nello studio svolto a New York tra i pazienti in terapia intensiva, oltre il 40% era obeso.

I pazienti obesi infatti partono già con difficoltà respiratorie, dato che il grasso a livello toracico e addominale va a comprimere i polmoni, riducendo la capacità di riempirli d’aria. In generale, i pazienti obesi hanno anche una maggiore necessità di ossigeno, poiché il loro organismo ha un’estensione maggiore e ne richiede di più.

Questi pazienti quindi partono già con un rischio più elevato di ammalarsi di affezioni respiratorie, rispetto ai pazienti normopeso, infatti circa il 13% dei soggetti obesi sviluppa patologie come bronchite cronica, asma, enfisema o insufficienza respiratoria.

SISTEMA IMMUNITARIO E INFIAMMAZIONE

Oltre alle difficoltà respiratorie di partenza, i soggetti obesi presentano spesso un’infiammazione cronica (anche di basso grado) e squilibri del sistema immunitario.

Il grasso infatti rappresenta una riserva di cellule immunitarie, tra cui macrofagi, che eliminano gli agenti patogeni (come virus e batteri), e linfociti T, che segnalano al resto dell’organismo la presenza dell’agente infettivo.

Nei pazienti che hanno un eccesso di massa grassa, quindi, c’è un surplus di queste cellule dell’immunità, il che comporta una reazione immune più intensa quando si ammalano, una grande “tempesta di citochine” (proteine pro-infiammatorie).

È stato osservato che la reazione immunitaria può danneggiare il paziente più del virus stesso, e non a caso molti farmaci attualmente in sperimentazione sono immunosoppressori, o antinfiammatori.Di conseguenza, è facilmente intuibile perché i pazienti obesi hanno mostrato spesso un decorso peggiore.

CONCLUSIONI E CONSIGLI PRATICI

Alla luce di tutte queste considerazioni, le persone affette da obesità dovrebbero prestare ancora più attenzione e attenersi strettamente alle misure di prevenzione emanate dal Governo, per proteggersi dall’ infezione da SARS-CoV-2. Può essere utile anche consultare le Linee guida nutrizionali elaborate dalla Fondazione Valter Longo Onlus su norme igieniche e indicazioni alimentari per sostenere il sistema immunitario e nutrirsi con consapevolezza.

Infatti, oltre alle indicazioni legate alla prevenzione del Coronavirus, è fondamentale apportare modifiche allo stile di vita per ridurre l’eccesso di grasso, riportando gradualmente il proprio peso nella norma.

Questo può essere raggiunto aumentando l’attività fisica svolta (in base al proprio stato di salute)e migliorando l’alimentazione.

Anche se attualmente palestre e centri sportivi sono chiusi, è possibile svolgere camminate o giri in bicicletta se si ha la possibilità di raggiungere luoghi poco inquinati e non troppo frequentati. Altrimenti, è possibile svolgere corsi anche in casa, come ad esempio esercizi di respirazione e di rilassamento presso la propria abitazione.

Per quanto riguarda l’alimentazione, restano valide le indicazioni proposte ne “La dieta della Longevità” riportate nel seguente link, non solo per normalizzare il peso, ma anche per ridurre il rischio di sviluppare diverse patologie croniche (come quelle cardiovascolari e il diabete) che, oltre a essere associate a una vita più breve e di ridotta qualità, aumentano anche il rischio di ammalarsi di Covid-19.

FONTI

  1. http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/dettaglioContenutiNuovoCoronavirus.jsp?lingua=italiano&id=5338&area=nuovoCoronavirus&menu=vuoto
  2. http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/dettaglioContenutiNuovoCoronavirus.jsp?lingua=italiano&id=5351&area=nuovoCoronavirus&menu=vuoto
  3. http://www.salute.gov.it/portale/salute/p1_5.jsp?area=Malattie_endocrine_e_metaboliche&id=175
  4. https://epicentro.iss.it/obesita/epidemiologia-italia
  5. https://www.insalutenews.it/in-salute/covid-19-i-pazienti-muoiono-traditi-dal-loro-stesso-sistema-immunitario-parola-dordine-calmare-la-tempesta/
  6. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/32271993
  7. http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2386_allegato.pdf
  8. Vgontzas AN, Bixler EO, Papanicolaou DA, Chrousos GP. Chronic Systemic Inflammation in Overweight and Obese Adults. 2000;283(17):2235–2236. doi:10.1001/jama.283.17.2235
  9. Vgontzas AN, Bixler EO, Papanicolaou DA, Chrousos GP. Chronic Systemic Inflammation in Overweight and Obese Adults. 2000;283(17):2235–2236. doi:10.1001/jama.283.17.2235
  10. https://www.cdc.gov/coronavirus/2019-ncov/downloads/Huang-2019-nCoV-clinical-features-Lancet-1-24-2020.pdf
  11. https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMc2010419
  12. https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(20)30566-3/fulltext

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GENI E INVECCHIAMENTO: LA STRATEGIA MOLECOLARE CHE ALLUNGA LA VITA

Per capire come mantenerci giovani, in primo luogo è necessario conoscere i meccanismi che stanno alla base e che regolano la longevità. A parte il nostro corredo genetico, che ereditiamo e su cui al momento non è ancora possibile agire, per garantirci una vita sana e longeva possiamo mettere in atto alcune strategie in grado di promuovere effetti protettivi, rigeneranti e ringiovanenti. Si tratta principalmente di seguire piani alimentari equilibrati che aiutano a mantenere il nostro corpo in buona salute e più a lungo.

LE RICERCHE SCIENTIFICHE SULL’INVECCHIAMENTO
Diversi studiosi in tutto il mondo hanno concentrato e concentrano le loro ricerche sui sistemi di invecchiamento. In principio, sono stati condotti esperimenti di laboratorio sui topi e indagini sull’uomo. Organismi troppo complessi per riuscire a identificare in tempi brevi i geni responsabili dell’invecchiamento e comprendere in che modo agiscono. Ecco che, quindi, l’attenzione è stata spostata su un organismo monocellulare: il Saccharomyces cerevisiae. Ovvero il lievito da panificazione: organismo formato da una sola cellula, semplice da reperire, facile da studiare e anche da modificare geneticamente. Grazie allo studio della “vita cronologica del lievito” è stato possibile identificare i geni responsabili dell’invecchiamento.

Dagli studi condotti sul Saccharomyces cerevisiae, Valter Longo ha scoperto che “affamandolo”, ovvero spostando le cellule da un liquido ricco di zuccheri e altre sostanze nutritive a solo acqua, il lievito viveva il doppio. Inoltre, Longo ha scoperto che lo zucchero è il nutriente che fa invecchiare più rapidamente e morire il lievito, attivando i geni Ras e PKA da un lato, e inattivando fattori ed enzimi che lo proteggono dall’ossidazione, dall’altro. Il passo successivo fu quello di identificare l’intera “via metabolica dello zucchero” nel processo di invecchiamento, che vede l’ormone della crescita come il regolatore principale. In seguito, sono stati condotti studi sui vermi, dando esito alla scoperta di altri geni che regolano l’invecchiamento, tra cui daf-2 e Tor-S6K.

LA STRATEGIA MOLECOLARE CHE ALLUNGA LA VITA
Le scoperte sui lieviti e sui vermi portarono a ipotizzare che gli organismi viventi invecchiano in modo simile, e che la “strategia molecolare” per allungare la vita sono analoghi. In un secondo tempo, queste ipotesi vennero confermate da studi di laboratorio condotti sui topi. Venne, poi, fornita la prima prova che gli stessi geni e le stesse vie metaboliche proteggono anche gli esseri umani dalle malattie collegate all’invecchiamento. I risultati arrivarono da un’indagine condotta in Equador analizzando un gruppo di persone affette da un particolare tipo di nanismo, la sindrome di Laron, in cui manca il recettore dell’ormone della crescita. Venne pubblicato uno studio in cui risulta una bassissima incidenza di casi di diabete e tumore in questi individui, nonostante abbiano uno stile di vita pessimo e un’alimentazione sregolata. Si desume che gli individui affetti dalla sindrome di Laron, con mutazioni del recettore dell’ormone della crescita, sono protetti dalle malattie legate all’invecchiamento. Da qui la conferma che geni simili controllano l’invecchiamento sia in organismi semplici, come i lieviti, sia in quelli più complessi, come l’uomo.

Per ulteriori approfondimenti scientifici, legati a un corretto stile di vita e a sane abitudini alimentari, visitate il sito della FONDAZIONE VALTER LONGO, dove trovate anche diverse pubblicazioni di studi clinici.

FONTI

  1. Valter Longo, La dieta della longevità, Vallardi Editore 2016
  2. Longo VD et al.; Replicative and chronological aging in Saccharomyces cerevisiae; Cell Metabolism 2012 Jul.
  3. Hu J et al.; Assessing chronological aging in Saccharomyces cerevisiae; Methods Mol Biol. 2013
  4. Longo VD, Fabrizio P.; Chronological aging in Saccharomyces cerevisiae; Subcell Biochem. 2012
  5. Dorman JB et al.; The age-1 and daf-2 genes function in a common pathway to control the lifespan of Caenorhabditis elegans; Genetics. 1995 Dec;141(4):1399-406
  6. Gottlieb S, Ruvkun G.; daf-2, daf-16 and daf-23: genetically interacting genes controlling Dauer formation in Caenorhabditis elegans. Genetics. 1994 May
  7. Hu J et el.; Tor-Sch9 deficiency activates catabolism of the ketone body-like acetic acid to promote trehalose accumulation and longevity; Aging Cell. 2014 Jun.
  8. Guevara-Aguirre J et al..; GH Receptor Deficiency in Ecuadorian Adults Is Associated With Obesity and Enhanced Insulin Sensitivity; J Clin Endocrinol Metab. 2015 Jul.

PERCHÉ INVECCHIAMO E CI AMMALIAMO DI PIÙ

L’invecchiamento è l’insieme di cambiamenti che avvengono negli esseri viventi con il passare del tempo. In generale, l’invecchiamento è inteso in senso negativo, poiché viene messo in relazione a disfunzioni che compromettono il buon funzionamento del corpo umano. In alcuni casi, però, comporta addirittura dei miglioramenti. Negli sport di endurance, per esempio, le prestazioni migliorano con il progredire dell’età sia dal punto di vista fisico sia da quello mentale. Al posto del termine “invecchiamento” sarebbe dunque più corretto usare l’espressione “senescenza” che non si porta dietro le accezioni negative.

Nel corso dei secoli, gli scienziati hanno individuato diverse teorie per spiegare il processo di invecchiamento. Dalla teoria dell’evoluzione di Darwin e Wallace, che illustra il meccanismo di selezione naturale, come una serie di processi che preservano un individuo in grado di generare prole sana. I due scienziati furono i primi a ipotizzare che invecchiamento e morte fossero processi programmati, ma senza mai dimostrarlo. Anche la teoria dei radicali liberi, in base alla quale molecole ossidanti, come l’ossigeno, danneggiano cellule, proteine e DNA, è volta allo studio dell’invecchiamento. Come pure la teoria del corpo spendibile di Kirkwood, secondo cui gli organismi investono in se stessi attraverso la riproduzione, intendendo il corpo come portatore di materiale genetico disponibile ovvero “spendibile” finché genera prole.

LA LONGEVITÀ PROGRAMMATA
Gli scienziati si sono spesso cimentati nello studio dell’invecchiamento, principalmente per capirne i meccanismi e focalizzando l’attenzione sul perché invecchiamo. Sono state ipotizzate varie teorie che ne spiegano il processo, senza però soffermarsi sul nodo centrale: cercare di scoprire come vivere a lungo e in buona salute. Studiando l’invecchiamento da questo punto di vista, infatti, è possibile individuare le strategie che possono portare a rallentarlo senza compromettere il benessere. Proprio da qui parte la teoria della longevità programmata, ideata dal professor Valter Longo (ispirato proprio da Wallace e Darwin) che ha raccolto diverse prove sperimentali ottenute in laboratorio in un articolo scientifico su Nature Review Genetics.

Secondo la teoria della longevità programmata, è possibile migliorare i sistemi di protezione e riparazione dell’organismo umano, in modo da rallentare l’invecchiamento. Come pure far sì che questi stessi sistemi funzionino più a lungo e, quindi, il corpo inizi a subire un declino dai 60-70 anni in avanti e non più, come avviene normalmente, a partire dai 40-50 anni. In questi termini, la longevità programmata rappresenta una strategia biologica evoluta in grado di migliorare la salute e allungare la prospettiva di vita, grazie a meccanismi di protezione e rigenerazione.

LO STUDIO DELLA GIOVINEZZA
Per mantenersi giovane e funzionale, il corpo ha bisogno di essere programmato a durare di più. Per far sì che ciò accada mette in atto processi di protezione, riparazione e sostituzione. Ecco che alla teoria della longevità programmata si affianca la scienza che studia come rimanere giovani. Definita “Iuventologia” in opposizione alla gerontologia che, invece, studia l’invecchiamento. La Iuventologia è il nuovo campo di ricerca individuato dallo scienziato Valter Longo, grazie alle indagini scientifiche che lo hanno visto impegnato negli ultimi anni. Di recente, la Iuventologia è stata convalidata da parte della comunità scientifica, grazie alla pubblicazione di uno studio sulla rivista Aging Cell.

La longevità programmata viene riproposta introducendo un neologismo: youthspan, ovvero il periodo della vita in cui un organismo è giovane e sano, caratterizzato da un funzionamento efficiente. La Iuventologia sarebbe, dunque, il nuovo campo di ricerca dedicato allo studio dei meccanismi responsabili dello youthspan. Le teorie precedenti si focalizzavano sul processo di deterioramento che porta l’organismo a invecchiare e che inizia dai 40-50 anni. Per avere una visione completa, però, è necessario studiare anche la fase di vita precedente. La conoscenza dei meccanismi che regolano lo youthspan porterebbe, quindi, ad allungare la fase di “vita sana”, come pure ad avere una “vita giovane”.

Per ulteriori approfondimenti scientifici, legati a un corretto stile di vita e a sane abitudini alimentari, visitate il sito della FONDAZIONE VALTER LONGO, dove trovate anche diverse pubblicazioni di studi clinici.

FONTI
1. Valter Longo, La dieta della longevità, Vallardi Editore 2016
2. Longo VD, Mitteldorf J, Skulachev VP; Programmed and altruistic ageing; Nature Review Genetics 2005 Nov;6(11):866-72
3. VD Longo; Programmed longevity, youthspan, and juventology; Aging Cell 2019 Feb.

VITAMINA C E CORONAVIRUS: FACCIAMO CHIAREZZA

VITAMINA C E CORONAVIRUS: FACCIAMO CHIAREZZA

In questi giorni si sono susseguite una serie di fake news, correlate all’emergenza Coronavirus. Tra queste, una delle più cliccate è stata quella sulla vitamina C, la cui massiccia integrazione, in base a certe informazioni veicolate online e sui social, fornirebbe una protezione contro l’infezione. Tanto che, in molti siti di e-commerce la disponibilità di integratori di questa vitamina oggi è scarsa, nonostante la smentita di diversi medici e altri professionisti. Vediamo, quindi, come mai questa notizia è un “fake”.

VITAMINA C

La vitamina C (Acido Ascorbico) è una molecola prodotta a partire da zucchero (glucosio), nella maggioranza delle piante e anche nel fegato di molte specie animali. Non tutti, però, sono in grado di sintetizzarla, tra di essi i primati e, quindi, anche l’essere umano. Per noi la vitamina C è tra quelle definite “essenziali”, ovvero che va necessariamente introdotta con l’alimentazione.

È necessario assumerla tramite integratori? Normalmente no: ci basta consumare vegetali freschi in buone quantità (per le principali fonti di vitamina C vedi l’articolo VITAMINE E MINERALI PER SOSTENERE IL SISTEMA IMMUNITARIO).

Secondo la Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU), l’assunzione giornaliera raccomandata di vitamina C è di 105 mg nell’uomo e 85 mg nella donna.

FUNZIONI DELLA VITAMINA C

Questa vitamina ha svariate funzioni. Le due virtù più note sono quella antiossidante e potenziante del sistema immunitario. È bene sapere che la vitamina C interviene nella sintesi (produzione) di collagene, neurotrasmettitori e ormoni, come pure partecipa nel metabolismo del colesterolo, nonché favorisce l’assorbimento di ferro.

Ha inoltre proprietà anti-cancro, in quanto agisce nel difendere il nostro organismo dall’aggressione delle nitrosammine, prodotti cancerogeni che si formano nello stomaco a partire da nitriti (sostanze azotate aggiunte come conservanti) che si trovano in alcuni alimenti, come le carni lavorate e talvolta le bevande alcoliche, oltre che nel fumo di sigaretta. La vitamina C, per esempio, è risultata efficace nella prevenzione in alcune forme di tumore, come quelli di stomaco ed esofago, nonché quello della laringe in bevitori e fumatori abituali.

 

La funzione della vitamina C sul sistema immunitario, di grande interesse in questo momento di grave emergenza sanitaria, consiste principalmente nel favorire:

  • produzione di Interferone (IFN-γ), una proteina della famiglia delle citochine, attiva soprattutto contro microrganismi patogeni (virus e batteri) che sono in grado di entrare nelle cellule umane e danneggiarle;
  • formazione e attività dei globuli bianchi (leucociti), le cellule del sangue responsabili della risposta immunitaria, nonché della produzione di anticorpi (proteine) prodotti da alcuni globuli bianchi e che contrastano in modo specifico alcuni patogeni (immunità specifica);
  • riduzione degli ormoni dello stress (primo tra tutti il cortisolo), che abbassano le difese immunitarie, alterando la produzione di alcuni globuli bianchi, nonché abbassando la produzione di anticorpi e favorendo così lo sviluppo di infezioni virali;
  • produzione di collagene, una proteina strutturale che forma una sorta di impalcatura di sostegno e consente l’adesione tra le cellule dei tessuti, garantendone così la funzione di barriera contro sostanze estranee e patogeni (come virus e batteri);
  • azione antiossidante, che contrasta i danni cellulari causati dai radicali liberi (molecole altamente reattive che ne danneggiano altre) e regola l’attività di alcune cellule immunitarie (fagociti), che distruggono i patogeni, anche grazie ai radicali stessi.

CARENZA DI VITAMINA C

Bassi livelli di vitamina C (ipovitaminosi) causano diminuzione di peso, stanchezza e debolezza costanti (condizione nota come “astenia”), dolori muscolari e sanguinamento gengivale. Sono considerate categorie a rischio di carenza: anziani, fumatori, obesi e diabetici. La carenza prolungata di vitamina C determina una patologia chiamata scorbuto (termine da cui la vitamina stessa prese il nome), con importanti danni ai tessuti (a causa delle alterazioni del collagene): ematomi, emorragie, gengiviti con perdita dei denti, difficoltà di cicatrizzazione.

L’integrazione di vitamina C può essere consigliata se è presente un’insufficienza, entro una dose di 1 grammo al giorno, quantità efficace nel rinforzare le difese immunitarie senza determinare effetti collaterali.

A dosi superiori a quelle consigliate, quindi, non ha molto senso integrare la vitamina C e, in ogni caso, sempre sotto controllo medico. Inoltre, non è stata rilevata una correlazione diretta tra dose di vitamina C assunta e protezione dalle infezioni. Ovvero, la carenza di vitamina C rende sì più debole il sistema immunitario, ma oltre la dose raccomandata non si hanno effetti protettivi ulteriori. Al contrario, un eccesso di questa vitamina può causare danni, soprattutto se l’utilizzo è prolungato.

ECCESSO DI VITAMINA C

Un eccesso di vitamina C (ipervitaminosi) è piuttosto raro da raggiungere solo attraverso il cibo. Il nostro organismo ne assorbe solo una parte: dal 50 all’80%, in modo inversamente proporzionale alla dose (vale a dire che più ne assumiamo e meno ne assorbiamo), e ne elimina l’eccesso attraverso la filtrazione dei reni e le urine.

Un eccesso di vitamina C è possibile se si assumono integratori in modo non controllato, il che può causare: mal di testa, bruciore di stomaco, vomito, diarrea, crampi addominali, fino alla formazione di calcoli renali.

CONSIGLI PRATICI

È importante variare il più possibile l’alimentazione, assumendo giornalmente frutta e verdura fresche e di stagione, possibilmente biologiche. Assicureremo così al nostro organismo tutti i nutrienti necessari a mantenerci in buona salute, senza bisogno di ricorrere a integratori. Ad esempio, un’arancia media apporta da sola circa 70 mg di vitamina C, mentre un kiwi ne apporta circa 64 mg.

Ai fini dell’assunzione della vitamina C, è importante alternare nella nostra dieta settimanale verdure cotte e crude, poiché questa vitamina è altamente sensibile al calore (cottura) e alla luce. È importante anche fare attenzione a non associare a verdure crude e frutta fresca sostanze che ne limitano l’assorbimento, tra cui la caffeina. Per questo motivo, evitiamo di bere nello stesso pasto caffè o the con una spremuta d’arancia. Cerchiamo, infine, di consumare frutta e ortaggi entro pochi minuti da quando li abbiamo tagliati, dato che la vitamina C si ossida facilmente a contatto con l’aria, perdendo le sue proprietà benefiche.

Se abbiamo dubbi sulla necessità di assume un integratore di vitamina C, contattiamo il nostro medico o nutrizionista, e seguiamone le indicazioni.

In conclusione, è vero che assumere la giusta quantità di vitamina C contribuisce al mantenimento di un buono stato di salute e delle difese immunitarie. La fake news consiste nel suggerimento di assumerla in dosi elevate (indicazione generalmente inefficace e con potenziali effetti collaterali), nonché nel sostenere che tali quantità forniscano protezione assoluta dall’infezione da Coronavirus.

Anche in questo momento difficile, è fondamentale valutare sempre l’attendibilità delle informazioni che circolano online e sui social, affidandosi alle indicazioni di professionisti competenti (medici di base e specialisti, nutrizionisti e altri operatori sanitari) evitando di ricorrere a soluzioni “fai da te”. Resta sempre valido l’innovativo approccio proposto da Fondazione Valter Longo Onlus, che fornisce gli strumenti per condurre una vita sana il più a lungo possibile, una “longevità sana”, che il nostro team promuove con passione e dedizione.

DIABETE: TRA LE PRIME PATOLOGIE NEI PAZIENTI DECEDUTI PER CORONAVIRUS

DIABETE: TRA LE PRIME PATOLOGIE NEI PAZIENTI DECEDUTI PER CORONAVIRUS

Il diabete mellito è una malattia metabolica caratterizzata da elevati livelli di zucchero nel sangue (in gergo iperglicemia) causata da un difetto nel metabolismo dell’insulina. Ormone prodotto dal pancreas che controlla la glicemia, per cui una sua produzione non adeguata, una scarsa sensibilità a essa oppure una combinazione di entrambi i fattori, può dare vita alla condizione di iperglicemia e, dunque, del diabete mellito.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), tra la popolazione adulta mondiale il numero di diabetici è di quasi 422 milioni (1). In Italia, l’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) stima che le persone affette da diabete siano oltre 3 milioni, cioè il 5,3% dell’intera popolazione (2).

La glicemia alta provoca quasi 4 milioni di morti ogni anno e l’International Diabetes Federation (IDF) riporta che, nel 2017, la spesa sanitaria annuale globale per il diabete tra gli adulti è stata di 850 miliardi di dollari (3).

Il diabete viene definito una malattia “subdola”, poiché molto spesso è una condizione asintomatica della quale i malati vengono a conoscenza anche dopo diversi anni dall’esordio. La sintomatologia classica, nei casi acuti, si presenta con episodi di aumento di sete e diuresi (cosiddetti polidipsia e poliuria), perdita di peso, aumento dell’appetito, stanchezza, malessere, odore di acetone nell’alito e dolori addominali. Nei casi più gravi, si possono verificare anche perdita di coscienza e confusione (4) (5).

La costante presenza di valori di glicemia superiori alla norma può portare a diverse complicazioni tra cui: insufficienza renale, ulcere diabetiche, amputazione degli arti, perdita della vista e danni ai nervi. Inoltre, aumenta il rischio complessivo di morte prematura: gli adulti diabetici hanno un rischio da 2 a 3 volte maggiore di eventi cardiovascolari (come infarto e ictus) e circa il 3% della cecità mondiale è causata dalla retinopatia diabetica (1) (3).

Se non si riuscisse a invertire l’attuale andamento, l’OMS prevede che nel 2045 i malati arriveranno a un numero di 629 milioni. Per cui, proprio l’OMS, ha concordato a livello globale l’obbiettivo di arrestare l’aumento del diabete entro il 2025 (3) (1).

Secondo i dati epidemiologici relativi al COVID-19, tra le patologie preesistenti che rendono più fragili nei confronti dell’infezione, il diabete è tra le cause principali (6). Nonostante il rischio di contrarre l’infezione sembri essere lo stesso della popolazione generale, i dati ad oggi disponibili evidenziano come la prognosi nelle persone affette da diabete che si ammalano di coronavirus sia peggiore (7). La probabilità di manifestare complicazioni come polmonite e insufficienza respiratoria, con esito anche fatale, è più alta rispetto ai soggetti sani (8).

Fino al 20 Marzo 2020, secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), i morti per coronavirus affetti da diabete sono 163, il 33,9 % delle morti totali (9). Le ragioni di questa aumentata vulnerabilità non sono ancora chiare, ma secondo i ricercatori del Diabetes Research Institute (DRI) dell’Istituto Scientifico San Raffaele, sembrerebbe che i maggiori fattori di rischio nei soggetti diabetici siano l’età avanzata e la concomitanza di malattie cardiovascolari e renali (7). Il DRI sottolinea che le conoscenze disponibili riguardanti questa nuova infezione sono  premature e, per certi versi, contraddittorie. Il DRI raccomanda pertanto la massima cautela nell’offrire suggerimenti, dal momento che essi non possono basarsi su evidenze scientifiche solide e rigorose (7).

Il diabete è una patologia piuttosto complessa che, di fatto, si può distinguere e suddividere in diverse tipologie accumunate da elevati livelli di glucosio nel sangue.

Semplificando, le principali varietà di diabete sono le seguenti:

  • Diabete tipo 1  malattia di origine autoimmune nella quale si verifica la distruzione da parte del sistema immunitario delle cellule del pancreas che producono insulina. L’iperglicemia è dovuta, quindi, a una carenza dell’ormone insulina e, perciò, si parla di diabete “insulino-dipendente”. Il diabete di tipo-1 viene anche detto “diabete giovanile”, poiché il suo esordio può avvenire anche in età infantile e, comunque, difficilmente oltre i 40 anni.
  • Diabete tipo 2  questa condizione è caratterizzata da ridotta sensibilità dell’organismo all’insulina da parte delle cellule bersaglio e/o da una ridotta secrezione dell’ormone. La malattia si instaura solitamente in età adulta, oltre i 40 anni; anche se l’età di esordio si sta sempre più abbassando a causa della diffusione dell’obesità infantile.
  • Diabete gestazionale  può comparire nel corso della gravidanza.
  • Altre forme di diabete  legate a difetti genetici a livello del pancreas o nella risposta insulinica o a malattie pancreatiche, causate dall’assunzione di farmaci.

Fattori di rischio

A oggi non si conoscono misure per la prevenzione del diabete di tipo 1, ma sono conosciuti approcci efficaci per prevenire il diabete di tipo 2 e tutte le complicanze che possono derivare dai diversi tipi di diabete, tra cui la morte prematura (1).

Tra i fattori di rischio che predispongono al diabete di tipo 2, ne compaiono diversi legati a un cattivo stile di vita e che, pertanto, dovrebbero essere facilmente modificabili:

  • Eccesso di peso corporeo
  • Sedentarietà
  • Alimentazione in eccesso
  • Fumo di sigaretta
  • Ipertensione(alta pressione)
  • Ipercolesterolemia (alti livelli di colesterolo LDL)
  • Trigliceridi elevati

Numerosi studi dimostrano come una corretta alimentazione e una regolare attività fisica siano strumenti indispensabili per la prevenzione di questa patologia, nonché rappresentino una vera e propria componente della terapia integrata per i pazienti diabetici. È importante consumare cibi ricchi di fibre, come legumi, verdure di stagione, cereali integrali e frutta a guscio. Di fondamentale importanza, limitare il più possibile l’apporto di zuccheri semplici, presenti in dolciumi e prodotti confezionati. Sono da ridurre pasta, pane bianco e riso, a causa dell’elevato apporto di amido; così come i grassi saturi di origine animale, presenti in formaggi, carne e salumi, nonché i grassi idrogenati utilizzati nei prodotti industriali, come snack dolci e salati, patatine e merendine. Inoltre, per l’apporto zuccherino, anche la frutta sarebbe da limitare a 1 frutto al dì.

Nei soggetti diabetici le bevande alcoliche sono concesse solo in piccole quantità, poiché oltre ad apportare calorie e zucchero, possono anche essere causa di cali ipoglicemici, ovvero repentina diminuzione di zuccheri nel sangue. In generale, se il diabete è ben controllato, le quantità concesse sono le stesse per tutta la popolazione: un bicchiere di vino da 125 ml al giorno per le donne e due per gli uomini, evitando di bere a digiuno. L’alcol è una sostanza tossica per il nostro sistema nervoso, perciò in caso di neuropatia l’attenzione deve essere ancora più rigorosa.

Nei soggetti diabetici, il fumo va assolutamente evitato. Le sigarette non solo espongono a tutte le complicanze della malattia, ma soprattutto rendono difficile il controllo e la gestione della glicemia.

L’attività fisica, adatta alle capacità di ognuno e all’età, contribuisce al calo del peso e aiuta a controllare la glicemia, grazie alla capacità dei muscoli di utilizzare e consumare il glucosio come fonte energetica. Muoversi accresce la sensibilità insulinica e aiuta ad abbassare la pressione arteriosa, oltre che a migliorare il profilo lipidico dell’organismo.

Consigli pratici

  • Tenere sotto controllo il proprio peso.
  • Attenersi il più possibile alla Dieta della Longevità: prediligere verdure fresche e alimenti ricchi di fibra, consumare poche proteine, meglio se di origine vegetale o da pesce, scegliere fonti di grasso buone come olio evo e frutta a guscio.

https://www.fondazionevalterlongo.org/dieta-quotidiana-della-longevita/?lang=it

  • Cercare di variare la propria alimentazione: in rete e sui nostri canali sono disponibili vari spunti per mangiare sano, senza rinunciare al piacere del cibo e alla creatività della cucina.
  • Mantenere uno stile di vita attivo: online sono disponibili allenamenti per tutti, da svolgere anche comodamente a casa, senza bisogno di attrezzature o grandi spazi.

In proposito, vi segnaliamo l’iniziativa di Diabete Italia Onlus in collaborazione con ANIAD, associazione nazionale sul diabete dedicata allo sport:

  • https://www.diabeteitalia.it/area-download/download/13-coronavirus/123-iorestoacasa-ma-mi-tengo-in-forma
  • Limitare il consumo di alcool.
  • Non fumare.

Per maggiori informazioni rivolgersi a: [email protected]

FONTI:

  1. https://www.who.int/health-topics/diabetes#tab=tab_1.
  2. http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=3960.
  3. WHO, World Health Organization. CLASSIFICATION OF DIABETES MELLITUS 2019.
  4. https://www.humanitas.it/malattie/diabete.
  5. http://www.siditalia.it.
  6. https://www.fondazionevalterlongo.org/dati-coronavirus-alla-mano/?lang=it.
  7. https://dri.hsr.it/focus/coronavirus-diabete-precauzioni-risposte/.
  8. https://www.hsr.it/news/2020/marzo/coronavirus-diabete-rischi.
  9. ISS, Istituto Superiore di Sanità. Report sulle caratteristiche dei pazienti deceduti positivi a COVID-19 in Italia . 20 Marzo 2020.
  10. http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/dettaglioContenutiNuovoCoronavirus.jsp?lingua=italiano&id=5337&area=nuovoCoronavirus&menu=vuoto.
  11. https://www.fondazionevalterlongo.org/diabete-obesita/?lang=it.
  12. https://www.diabeteitalia.it.
  13. http://www.fand.it/category/covid-19/.
  14. https://aemmedi.it.

LINEE GUIDA NUTRIZIONALI

Norme igieniche e indicazioni alimentari,

per sostenere il sistema immunitario e nutrirsi con consapevolezza

Per fare chiarezza riguardo le numerose informazioni che circolano sul web in questo periodo di emergenza dovuta all’evolversi della situazione epidemiologica di COVID-19 in Italia, Fondazione Valter Longo Onlus ha deciso di stilare “Linee Guida Nutrizionali per sostenere il sistema immunitario e nutrirsi con consapevolezza”.

Norme igieniche e indicazioni alimentari, come strumento concreto di riferimento per tutti: addetti ai lavori, medici, nutrizionisti e anche chiunque desideri rimanere informato in tal senso.

SETTIMANA MONDIALE PER LA RIDUZIONE DEL CONSUMO DI SALE

SETTIMANA MONDIALE PER LA RIDUZIONE DEL CONSUMO DI SALE

Domenica 15 marzo si è conclusa la dodicesima edizione della “Settimana mondiale per la riduzione del consumo di sale”, promossa da World Action on Salt & Health (WASH) (1) (2).

All’evento, come ogni anno, hanno aderito la Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU) e il Gruppo Intersocietario Meno Sale Più Salute (3).

Il tema dell’evento 2020 è stato “Hide and Seek” (ovvero “nascondi e cerca”), pertanto è stata richiamata l’attenzione sulle fonti alimentari di sale nascosto e sulla necessità di ricercare cibi a basso apporto di sale (3).

Secondo i LARN (acronimo che sta per “Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana”), il fabbisogno medio di sale è di 5 grammi al giorno (g/die), corrispondenti a circa 2 grammi di sodio (4).

Negli anziani il limite si fa più stringente, si raccomanda di non superare i 4 g/die, a causa del maggior rischio ipertensivo e cardiovascolare della categoria (6). Nonostante le indicazioni, a livello globale si stima che vengano consumati tra gli 8 e i 15 grammi al giorno (2).

La relazione causale tra consumo eccessivo di sale e malattie cardiovascolari, come ipertensione, infarto e ictus, è ad oggi documentata e accertata da diversi studi. Secondo la WASH, se si riducesse il consumo di sale entro i limiti consigliati, si potrebbero prevenire circa 2,5 milioni di decessi ogni anno (1).

Moderare l’apporto di sale con la dieta consente di ridurre la pressione arteriosa e, di conseguenza, di abbassare il rischio cardiovascolare, in particolare l’incidenza di eventi come ictus cerebrale, infarto e scompenso cardiaco (3).

Nell’evoluzione dell’uomo il sale ha avuto un’importanza fondamentale, essendo stato uno dei primi metodi di conservazione dei cibi. Tuttavia, grazie ai metodi oggi disponibili, del sale aggiunto si potrebbe fare a meno, poiché quello naturalmente contenuto negli alimenti sarebbe già di per sé sufficiente a coprire il fabbisogno fisiologico (6).

In tabella sono riportate le comuni fonti di sale nascosto (6).

ALIMENTO PORZIONE SALE
Pizza margherita 300 g 6 g
Verdure sott’aceto 60 g 1,2 g
Olive da tavola conservate 35 g 1,1 g
Pane 50 g 0,75 g
Crackers 30 g 0,6 g
Cornetto semplice 50 g 0,5 g
Merendina tipo pan di Spagna 40 g 0,35 g
Cereali da colazione 40 g 0,3 g
Biscotti dolci 30 g 0,15 g

Per gli italiani le principali fonti di sale sono rappresentate da pane e prodotti da forno, salumi e formaggi ma è bene tenere a mente che molto spesso il sale si trova anche in prodotti che vengono considerati dolci, come merendine, snack e dolci confezionati (CREA, 2018).

Nonostante il sapore salato sembri irrinunciabile, in realtà il gusto è un senso educabile ed è sufficiente ridurre l’apporto di sale in modo graduale per potersi allenare a non sentirne la necessità e a godere del sapore naturale dell’alimento.

Come possiamo fare per ridurre il consumo di sale?

  • Leggere le etichette e prediligere cibi con massimo 0,3 grammi di sale in 100 grammi di prodotto (3)
  • Cercare di non aggiungere sale in cucina ed eliminare la saliera dalla tavola (3)
  • Evitare piatti, sughi pronti e prodotti confezionati, come snack e merendine (6)
  • Usare spezie (rosmarino, salvia, origano, timo, paprika, pepe, peperoncino), aglio e cipolla per insaporire le pietanze e limitare il consumo di condimenti ricchi di sodio (salsa di soia, gomasio, salse) (3)
  • Risciacquare con cura legumi e verdure in scatola e prediligere frutta e verdura fresca (1)
  • Cuocere pasta e riso in acqua poco salata(3)
  • Pesce, pollo, verdure e patate sono cibi saporiti anche senza sale aggiunto (3)
  • Preferire prodotti da forno senza aggiunta di sale (3)
  • Se proprio il menù sembra insipido, aggiungere un pizzico di sale iodato (3)

Fonti:

1.http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=4114.

  1. https://www.epicentro.iss.it/cardiovascolare/settimana-riduzione-sale-2020.
  2. https://sinu.it/week-2020/.
  3. http://www.worldactiononsalt.com/awarenessweek/.
  4. ​LARN – Livelli di assunzione di riferimento per la popolazione italiana – Società Italiana di Nutrizione Umana-SINU, 2014.
  5. CREA, Centro di Ricerca Alimenti e Nutrizione. Linee guida per una sana alimentazione. 2018.