Alimentazione e malattie neuro-degenerative

Le malattie neuro-degenerative (come Alzheimer e Parkinson) sono patologie croniche collegate all’invecchiamento. In particolare, il morbo di Alzheimer raggruppa il 60-80% delle demenze e la sua incidenza aumenta più di 100 volte con il progredire dell’età dai 60 ai 95 anni.

LA RICERCA SCIENTIFICA SULL’ALZHEIMER

Uno dei massimi esperti mondiali in tema di Alzheimer è Caleb Finch della USC (University of Southern California), che ha individuato una molecola coinvolta nella comparsa della malattia. La Beta-amiloide, una proteina prodotta fisiologicamente nel nostro corpo, ma che può accumularsi eaggregarsi nel cervello. 

I primi studi per cercare di ritardare l’insorgenza dell’Alzheimer vennero condotti sui topi, intervenendo sul gene IGF-1 (fattore di crescita insulino-simile) che accelera l’invecchiamento. Per potenziare il ringiovanimento del sistema cerebrale, venne ideata una dieta priva dei 9 amminoacidi essenziali (alla base delle proteine alimentari), con un surplus di amminoacidi non-essenziali. Questa dieta venne alternata a un’alimentazione normale, con l’effetto di ridurre del 75% l’IGF-1 e migliorare i test cognitivi, anche dopo i cicli di diete. Altri studi attestarono il miglioramento di memoria e apprendimento dopo cicli di Dieta Mima Digiuno vegana somministrata ai topi per 4 giorni 2 volte al mese e con digiuno a giorni alterni.

Dopodiché si è passati agli studi sull’uomo. Si è visto che i soggetti predisposti geneticamente presentano 15 volte di più il rischio di sviluppare Alzheimer. I ricercatori consigliano di sottoporsi a un test genetico e adottare strategie alimentari a scopo preventivo. Gli studiosi hanno trovato una correlazione con l’IMC (indice di massa corporea), ossia al peso. Fino ai 65-75 anni è bene mantenere peso corporeo e circonferenza addominale contenuti, con IMC idoneo. Dai 75 anni in poi, invece, meglio evitare perdita di massa muscolare e deperimento, con un IMC un po’ più elevato, in grado di proteggere da eventuali danni cerebrali. Le ricerche scientifiche sull’uomo hanno individuato la Dieta Mediterranea protettiva nel declino cognitivo, grazie alla presenza di olio d’oliva. Anche la Dieta Mima Digiuno può essere utile. Analogamente alla sperimentazione con i topi, una dieta povera di proteine e ricca di amminoacidi non-essenziali, alternata a una dieta normale, migliora le prestazioni cognitive, anche dopo 6 mesi.

MANTENERSI ATTIVI FISICAMENTE E MENTALMENTE

Fondamentale, inoltre, mantenere in attività mente e corpo. Rimanere attivi previene le malattie neuro-degenerative e ne ritarda la progressione. Diversi studi scientifici attestano che l’attività fisica, in particolare aerobica, migliora le funzioni cognitive nei pazienti affetti da demenza. Vanno bene corsa e nuoto, oppure cyclette nel caso di soggetti anziani e/o deboli. Altri studi dimostrano l’importanza dell’allenamento mentale. Impegnarsi in attività che stimolano i neuroni, come leggere, fare puzzle, parole crociate o anche giochi elettronici, aiuta a prevenire e ritardare l’insorgere di demenze.

L’ALIMENTAZIONE ADATTA PER L’ALZHEIMER

Per le persone che potenzialmente sono ad alto rischio di sviluppare malattie neuro-degenerative come l’Alzheimer, gli esperti consigliano di seguire un certo regime alimentare. Per prevenire varie forme di demenza, l’indicazione è di adottare un’alimentazione ricca di nutrienti, individuata in una dieta vegano-pescetariana, arricchita di olio d’oliva (50-100 ml al giorno) e frutta a guscio (30 g al giorno), con aggiunta di olio di cocco (40 ml al giorno). Anche il caffè fa bene (1-4 tazzine al giorno, in base al parere del medico). Da evitare gli alimenti di origine animale (carne rossa, insaccati, pollame, burro, latte e formaggi vaccini) e i grassi saturi e trans. Consentiti pesce (a basso contenuto di mercurio) e latticini di capra e pecora. L’ideale, poi, è assumere ogni giorno un integratore multi-vitaminico (con vitamine del gruppo B e le vitamine C, D ed E) e al bisogno omega 3, per proteggere i neuroni.

In caso di malattia diagnosticata, la strategia alimentare deve essere sempre approvata dal neurologo che ha in cura il paziente con demenza o Alzheimer. Le indicazioni degli esperti sono di proseguire con il piano alimentare esposto qui sopra, da associare a cicli di restrizione proteica e restrizione di amminoacidi essenziali, più Dieta Mima Digiuno periodica. Le sperimentazioni sono ancora in corso, per cui è strettamente necessario il consenso del medico curante e il supporto di un nutrizionista specializzato.

NOTA: I contenuti di questo articolo non devono essere utilizzati per effettuare auto-diagnosi o come terapie per malattie, ma possono essere presentati a un medico specialista in vista del trattamento di una patologia.

>>> Per ulteriori approfondimenti scientifici, legati a un corretto stile di vita e a sane abitudini alimentari, visitate il sito della FONDAZIONE VALTER LONGO, dove trovate anche diverse pubblicazioni di studi clinici.

FONTI

  1. Valter Longo, La dieta della longevità, Vallardi Editore 2016
  2. Liu CC et al.; Apolipoprotein E and Alzheimer disease: risk, mechanisms and therapy; Nature Review Neurology 2013 Feb.
  3. Valls-Pedret C et al.; Mediterranean diet and age-related cognitive decline: a randomized clinical trial; JAMA International Medicine 2015 Jul.
  4. Shah R; The role of nutrition and diet in Alzheimer disease: a systematic review; JAMDA 2013 Jun.
  5. García-Ptacek S et al.; Body mass index in dementia; European Journal of Clininc Nutrition 2014 Nov.
  6. Brandhorst S et al.; A Periodic Diet that Mimics Fasting Promotes Multi-System Regeneration, Enhanced Cognitive Performance, and Healthspan; Cell Metabolism 2015 Jul.
  7. Groot C et al.; The effect of physical activity on cognitive function in patients with dementia: a meta-analysis of randomized control trials; Ageing Research Review 2016 Jan.
  8. Li BY et al.; Mental training for cognitive improvement in ederly people: what have we learned from clinical and neurophysiologic studies?; Curr Alzheimer Res 2015
  9. Fernando WM et al.; The role of dietary coconut for the prevention and treatment of Alzheimer’s disease: potential mecanisms of action; British Journal of Nutrition 2015 Jul.
  10. Hu Yang I; Coconut oil: non-alternative drug treatment against Alzheimer disease; Nutricion Hospitalaria 2015 Dec.
  11. Liu J et al. Association of coffee consumption with all-cause and cardiovascular disease mortality. Mayo Clin Proc.
  12. ND Barnard et al.; Saturated and trabs fats and dementia: a systematic review; Neurobiology of Aging, 2014 Sep.

 

Dieta antinfiammatoria e artrite reumatoride

Un recente studio svolto nel 2020 e pubblicato sul The American Journal of Clinical Nutrition ha indagato se una dieta antinfiammatoria possa ridurre l’attività della malattia e migliorare la qualità della vita dei pazienti affetti da artrite reumatoide.

L’artrite reumatoide (AR) è una malattia autoimmune cronica caratterizzata da infiammazione sinoviale (un’infiammazione acuta o cronica del tessuto del tendine) e spesso seguita da erosione della cartilagine e dell’osso1. I pazienti con AR soffrono di una ridotta capacità funzionale, dolore e rigidità che spesso portano a una compromissione della qualità della vita.

In questo studio crossover in singolo cieco, ossia uno studio in cui il soggetto viene esposto in tempi diversi, a uno o più trattamenti diversi, secondo una sequenza casuale e senza essere a conoscenza della tipologia del trattamento, sono stati arruolati 50 pazienti svedesi con AR ai quali è stata assegnata, in modo causale, una dieta di intervento antinfiammatoria che presentava alimenti non infiammatori oppure una dieta simile a quella svedese per 10 settimane.

La dieta d’intervento è stata fornita dallo studio e formulata in base all’’assunzione dietetica media negli uomini e nelle donne di età compresa tra 45 e 64 anni in Svezia (17% di proteine, 34% di grassi totali, 13% di SFA e 43% di carboidrati).

  • Pranzo e cena contenevano pesce (principalmente salmone) 3-4 volte alla settimana e piatti vegetariani con legumi 1-2 volte alla settimana. Sono stati inclusi patate, cereali integrali, verdure, yogurt per salse, spezie e altri aromi.
  • Gli spuntini erano composti da frutta fresca.
  • La colazione conteneva latticini a basso contenuto di grassi, cereali integrali, melograno e mirtilli, noci e colpi di succo con probiotici.

Il ceppo probiotico utilizzato conteneva Lactobacillus plantarum 299, noto per le sue proprietà antinfiammatorie sistemiche e regolatore della risposta immunitaria, è stato fornito ai partecipanti 5 g/settimana.

Per i pasti non forniti dallo studio, i partecipanti sono stati istruiti nel limitare l’assunzione di carne a meno o massimo 3 volte alla settimana, a mangiare meno o al massimo 5 porzioni di frutta al giorno, bacche e verdure (comprese quelle fornite), a usare olio o margarina per cucinare e scegliere latticini a basso contenuto di grassi e cereali integrali.

La dieta di controllo seguita dall’altro gruppo, fornita dallo studio, conteneva quotidianamente:

  • carne o pollo al massimo 5 volte alla settimana,
  • cereali raffinati,
  • barrette proteiche o quark (formaggio spalmabile) per spuntini
  • colazioni a base di pane bianco con crema spalmabile a base di burro e formaggio, oppure un mix di quark e yogurt con fiocchi di mais e succo d’arancia.

Oltre a ciò, ai partecipanti è stato anche chiesto di consumare ≤5 porzioni/giorno di frutta, bacche e verdure; frutti di mare ≤1 volta/settimana; usare il burro per cucinare; latticini ad alto contenuto di grassi ed evitare prodotti con probiotici.

Dopo un periodo di intervallo dal trattamento dietetico di 4 mesi, i partecipanti hanno cambiato dieta, cioè chi ha seguito la dieta antinfiammatoria ha iniziato a seguire la dieta di controllo e viceversa.

L’obiettivo primario di questo studio era valutare l’attività della malattia, quello secondario era quello di valutare eventuali miglioramenti nelle articolazioni dolenti e gonfie, nello stato di salute generale e della proteina C-reattiva (indice di infiammazione che si rileva con gli esami del sangue).

RISULTATI

Durante il periodo in cui pazienti hanno seguito la dieta antinfiammatoria, c’è stato un significativo miglioramento dell’attività della malattia dopo l’intervento rispetto ai pazienti che hanno seguito la dieta di controllo, non ci sono stati dei miglioramenti statisticamente significativi nei dolori articolari, nel gonfiore, ecc. nonostante, alcuni pazienti, avessero riportato un miglioramento.

In conclusione, questo studio ha dimostrato effetti positivi di una dieta antinfiammatoria sull’attività della malattia. Sono comunque necessari ulteriori studi per determinare se questa tipologia di dieta possa condurre a miglioramenti clinicamente rilevanti2.

FONTI

  1. Choy E. Understanding the dynamics: pathways involved in the pathogenesis of rheumatoid arthritis. Rheumatology. 2012;51(5):v3–11.
  2. Anna K E Vadell, Linnea Bärebring, Erik Hulander, Inger Gjertsson, Helen M Lindqvist, Anna Winkvist, Anti-inflammatory Diet In Rheumatoid Arthritis (ADIRA)—a randomized, controlled crossover trial indicating effects on disease activity, The American Journal of Clinical Nutrition, Volume 111, Issue 6, June 2020, Pages 1203–1213.

LO STRESS DA LAVORO, NELLE DONNE, PUÒ FAVORIRE LA COMPARSA DI DIABETE

Un impegno di lavoro molto stancante dal punto di vista mentale, per il sesso femminile, può comportare l’aumento del rischio di diabete di tipo 2. Lo svela uno studio condotto presso il CESP (Centre de Recherche en Epidémiologie et Santé des Populations) dell’Inserm (Institut national de la santé e de la recherche médicale) di Parigi. I risultati dell’indagine sono stati pubblicati sulla rivista scientifica European Journal of Endocrinology (aprile 2019).

IL RISCHIO DI DIABETE AUMENTA ANCHE NELLE DONNE NORMOPESO 

Lo studio in questione è stato portato avanti da un gruppo di ricercatori francesi su un ampio campione di oltre 70mila donne, monitorate nel corso di un lungo periodo di osservazione di oltre 20 anni (dal 1992 al 2014). Gli esperti hanno cercato di trovare l’esistenza di una correlazione tra un lavoro “mentalmente molto stancante” e il rischio di sviluppare diabete di tipo 2. Il 75% delle donne incluse nello studio erano insegnanti, di cui il 24% ha dichiarato di svolgere un lavoro mentalmente estenuante. È risultato che le donne “lavoratrici con impegno mentale elevato” hanno registrato un rischio di diabete maggiore del 21%, rispetto alle donne che svolgevano un lavoro “poco o per nulla stancante mentalmente”.

Ovvero, nel periodo di osservazione, 4.187 donne (su un totale di 73.517) hanno sviluppato diabete di tipo 2, con prevalenza particolarmente elevata tra quelle che svolgono lavori stressanti dal punto di vista mentale. Associazione risultata indipendentemente dallo stile di vita (abitudini alimentari sane / non sane, fumatrici / non fumatrici etc.) e dai classici fattori di rischio per il diabete (sedentarietà, sovrappeso, obesità, colesterolo alto, ipertensione, problematiche cardiovascolari, età superiore ai 45 anni, familiarità nel diabete). Mentre è stata trovata un’interazione tra stress da lavoro mentale e Indice di Massa Corporeo molto significativa, con un’associazione più forte nelle donne normopeso rispetto a quelle in sovrappeso.

STUDI FUTURI PER TROVARE NUOVE CURE

Da questo studio osservazionale risulta che altri fattori, di tipo psicologico, come la depressione e lo stress da lavoro possono svolgere un ruolo nell’aumentare il rischio di ammalarsi di diabete di tipo 2. Da qui il monito degli esperti è di dare un maggiore sostegno per donne che svolgono lavori molto impegnativi dal punto di vista mentale. Il prossimo obiettivo dei ricercatori, inoltre, è di allargare lo studio, analizzando l’effetto di un lavoro mentalmente stressante e impegnativo in soggetti che sono già affetti da diabete di tipo 2, con l’intento di trovare nuove possibilità di cura e gestione della malattia diabetica stessa.

FONTI

Guy Fagherazzi et al. – Mentally tiring work and type 2 diabetes in women: a 22-year follow-up study – European Journal of Endocrinology (April 2019)

TROVATO IL COLLEGAMENTO TRA DISTURBI MENTALI E “CIBO SPAZZATURA”

Scoperta la connessione tra junk food e salute mentale. A metterlo in luce è una ricerca scientifica condotta presso la Loma Linda University in California (USA). I risultati dello studio americano sono stati pubblicati sulla rivista specializzata International Journal Food Sciences and Nutrition (febbraio 2019). Una versione precedente di questo studio era già stata presentata anche durante il 7° Congresso Internazionale sulla Nutrizione Vegetariana (svoltosi sempre a Loma Linda, il 26 febbraio 2018).

UNA CATTIVA ALIMENTAZIONE FA MALE AL NOSTRO CERVELLO

L’indagine ha coinvolto un campione di oltre 245mila individui, residenti in California, a cui sono stati proposti dei questionari sulle abitudini alimentari, nell’arco di 10 anni, dal 2005 al 2015. In particolare, i ricercatori hanno concentrato la loro attenzione sul ruolo della dieta in relazione alla salute mentale. Gli studiosi hanno scoperto che alcuni disturbi mentali sono correlati a una cattiva alimentazione, indipendentemente da età, etnia, istruzione, reddito, stato civile, provenienza geografica e indice di massa corporea. Per “cattiva alimentazione”, in questo studio, disturbi psicologici moderati e gravi sono stati associati a un ridotto consumo di frutta e verdura, contro un aumento di consumo di patatine fritte, fast food, bibite gasate e cucchiaini di zucchero assunti giornalmente.

TROPPI ZUCCHERI, CIBI FRITTI E CEREALI RAFFINATI PORTANO A DISTURBI MENTALI

I dati del sondaggio (denominato California Health Interview Survey 2005-2015) hanno rilevato che gli individui che hanno consumato maggiormente cibo spazzatura hanno riportato maggiore probabilità di sviluppare sintomi correlati a disturbi psicologici, moderati o grave, rispetto ai partecipanti che, invece, hanno seguito una dieta più sana. Nello specifico, un eccesso di consumo di zucchero è associato al disturbo bipolare, mentre il consumo di cibi fritti o contenenti elevate quantità di zucchero e cereali trasformati è collegato alla depressione. L’analisi dei dati riporta che quasi il 17% degli individui adulti sottoposti al sondaggio rischia di soffrire di disturbi mentali, di cui il 13,2% in forma moderata e il 3,7% in forma grave.

Sono necessarie ulteriori indagini per confermare che, viceversa, una dieta sana contribuisca a una buona salute mentale. Un buon obiettivo sarebbe stabilire interventi mirati di salute pubblica, soprattutto a livello preventivo, rivolti a giovani adulti o verso individui con meno di 12 anni di istruzione.

FONTI

Banta JE et Al. – Mental health status and dietary intake among California adults: a population-based survey – International Journal of Food Sciences and Nutrition (Feb. 2019)

Il sale fa male, meglio sostituirlo con spezie piccanti

 di Fondazione Valter Longo Onlus

Buone notizie per gli amanti delle spezie, a discapito del sale. Mangiare troppo salato fa male alla salute del cuore, poiché determina l’insorgere di ipertensione e aumenta il rischio di sviluppare malattie cardio-vascolari, come insufficienza cardiaca, infarto e ictus. Per scongiurare tutto ciò, solitamente i medici consigliano di limitare l’uso del sale sulle nostre pietanze, anche se la quantità di sale nella nostra dieta di ogni giorno rimane un argomento controverso, dato che anche chi consuma troppo poco sale corre il rischio aumentare la probabilità di sviluppare patologie cardiache. Come fare con l’abitudine ai gusti saporiti?

Un gruppo di ricercatori della Terza Università Militare di Chongqing (Cina) ha indagato sulla possibilità di ridurre il sale dalla nostra dieta quotidiana, sostituendolo con le spezie. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Hypertension (ottobre 2017).

IL PEPERONCINO AIUTA A TENERE SOTTO CONTROLLO LA PRESSIONE

L’indagine ha coinvolto più di 600 persone adulte di nazionalità cinese, a cui inizialmente è stato chiesto se preferissero pietanze salate oppure piccanti, dopodiché sarebbe stata controllata loro la pressione sanguigna. È risultato che i partecipanti che non mangiavano piatti piccanti, hanno assunto in media 13,4 grammi di sale al giorno. Mentre i soggetti che sceglievano cibi speziati hanno ridotto la quantità di sale assunto fino a 10,3 grammi al giorno. Inoltre, per gli amanti delle spezie, la pressione sanguigna sistolica è risultata più bassa di 8 mmHg rispetto a chi, invece, predilige il salato e non mangia piccante. Lo stesso vale per la pressione arteriosa diastolica, inferiore di 5 mmHg per chi usa le spezie.

I ricercatori hanno studiato se una maggiore consapevolezza sugli alimenti salati potesse ridurre l’assunzione di sale con la dieta quotidiana, scoprendo che il piacere per i sapori speziati rappresenta una soluzione efficace per ridurre il consumo di sale con la dieta quotidiana e, di conseguenza, tenere sotto controllo la pressione sanguigna, indipendentemente dal tipo e dalla quantità di cibo. Nello specifico, sarebbe al capsaicina, sostanza che conferisce il sapore piccante al peperoncino e alle altre spezie, ad amplificare la sensazione di sapore salato negli alimenti.

LE AREE CEREBRALI STIMOLATE DAL SALE E DALLE SPEZIE SONO LE STESSE

Inoltre, attraverso tecniche di imaging, i ricercatori hanno indagato sulle zone cerebrali coinvolte nei meccanismi che regolano la percezione del gusto salato (insula e corteccia orbito-frontale) scoprendo che sono le stesse che vengono attivate dal gusto speziato. Per di più, le spezie vanno ad amplificare l’attività cerebrale di quelle stesse aree stimolate dal sale. Ecco che allora, mangiare piccante può essere un ottimo escamotage per assumere meno sale, dato che ne aumenta la percezione gustativa.

Alla luce di ciò, gli esperti consigliano a chi lo ama di mangiare cibo piccante ogni giorno; mentre indicano a chi non tollera il peperoncino di scegliere altre spezie. In ogni caso, sono necessari ulteriori studi per capire quale sia la spezia migliore da aggiungere al cibo, per poter ridurre il consumo di sale e/o abbassare la pressione sanguigna. Come pure può essere utile condurre indagini scientifiche su campioni di popolazione più vasti e appartenenti ad altri gruppi etnici.

FONTI 

Zhiming Zhu et al. – Enjoyment of Spicy Flavor Enhances Central Salty-Taste Perception and Reduces Salt Intake and Blood Pressure – Hypertension (Oct 2017)

L’alcol fa bene o male alla longevità? Riunite ed analizzate le ricerche, ci dicono che la risposta non è un semplice sì o no

Alcuni anni fa, nel corso di una conferenza, un membro del pubblico chiese la parola e mi disse: «Professor Longo, conoscevo una signora che tutte le mattine, verso le undici, beveva un bicchiere di grappa. Andò in casa di riposo e, al compimento del centotreesimo anno, le dissero che per ragioni di salute non avrebbe più potuto bere la sua grappa. Poco dopo la donna morì». Tutti scoppiarono a ridere, aspettandosi che io difendessi la decisione della casa di riposo di toglierle la grappa; rimasero sorpresi quando dissi che non avrebbero dovuto farlo e che, di fatto, un modesto consumo di alcol (meno di un bicchiere al giorno) ha o nessun impatto o un’associa-zione leggermente positiva con la longevità. Il giornalista che stava moderando l’incontro intervenne dicendo che l’alcol dovrebbe essere comunque evitato perché è un fattore di rischio di ammalarsi di tumore, ma se questo è vero per certi tipi di cancro, l’effetto di un modesto consumo di alcol (per esempio meno di 5 bicchieri di vino alla settimana) sul rischio di contrarre la maggior parte dei tumori è o molto basso o nullo. Cosa ancora più importante, quello che dobbiamo prendere in considerazione è come l’alcol influenza la «Iuventologia» e lo healthspan, non solo l’insorgenza del cancro. Supponiamo invece, per esempio, che un cibo o una bevanda riduca il rischio di ammalarsi di cancro, avendo nel contempo potenti effetti protettivi contro il diabete e le malattie cardiovascolari o l’Alzheimer o, semplicemente, che renda una persona più felice e le infonda il desiderio di lottare per vivere in salute e più a lungo: secondo me quel cibo o quella bevanda può essere raccomandata alla maggior parte delle persone, mentre potrebbe non esserlo per chi abbia in famiglia un alto rischio di ammalarsi di uno dei tumori influenzati dall’alcol come, per esempio, quelli alla testa e al collo.1

Consumo di alcol e tumori

La presenza di etanolo (l’alcol incolore e volatile che si trova nelle bevande alcoliche) può essere sia benefica sia deleteria per la salute, nel secondo caso specialmente se in grandi quantità. L’alcol infatti può ridurre l’assorbimento di alcune vitamine, alzare il livello degli estrogeni e quindi, indirettamente, aumentare il rischio di tumore alla mammella,2 anche se l’aumento del rischio provocato da un consumo moderato od occasionale di alcol è basso.3 Altri effetti negativi dell’alcol sono legati al potenziale rischio di provocare il tumore quando si combina ad alcune sostanze prodotte durante la fermentazione (nitrosammine, fibre di amianto, fenoli e idrocarburi) o all’uso di tabacco.4

Anche se un consumo moderato di alcol può avere effetti benefici per la salute e la longevità, chi non beve o non gradisce l’alcol non dovrebbe iniziare a farlo. C’è infatti un legame tra alcol e tumore.

  • Il National Toxicology Program dello US Department of Health and Human Services lo elenca tra i cancerogeni per l’uomo.
  • Secondo lo statunitense National Cancer Institute, il consumo da basso a moderato di alcol può aumentare il rischio di tumore del primo tratto gastrointestinale, quindi alla bocca, alla gola, all’esofago, alla laringe, oltre che al fegato e alla mammella.5,6
  • Il consumo di alcol sembra essere dannoso anche in caso di secondi tumori primari, cioè nuovi tumori che si formano in pazienti che avevano già sofferto di tumore, almeno nel caso del primo tratto gastrico.7

Il rapporto tra consumo di alcol, incidenza di tumori e mortalità a seguito di patologie è comunque molto complesso. L’impatto dannoso del consumo massiccio di alcol è risaputo, mentre un consumo moderato di alcol potrebbe essere positivo per la salute. È accertato che:

  • i dati sull’associazione tra consumo di alcol e tumori all’ovaio, all’endometrio e alla vescica sono inconsistenti, per cui non per- mettono di trarne conclusioni. Al contrario, alcune metanalisi confermano un rischio di tumore allo stomaco maggiore del 20% nei forti bevitori (che bevono per esempio più di mezzo litro di vino rosso al giorno), rispetto a chi non beve mai o quasi. Tale rischio è nullo nei bevitori moderati, ossia chi beve tra 1 e 4 bicchieri al 8,9 L’associazione con il cancro alla prostata è meno forte, con un rischio che cresce con l’aumentare del consumo di alcol. Per esempio, una metanalisi che ha analizzato 572 diversi studi, per un totale di oltre 480.000 casi di cancro, ha evidenziato che il rischio di tumore alla prostata per chi beve alcol moderatamente rispetto a chi non beve mai o solo in rare occasioni è maggiore del 6%, mentre aumenta al 9% nei forti bevitori;10
  • Però, a un maggior consumo di alcol è associato un minor rischio di tumore alla tiroide, di linfoma non-Hodgkin (un gruppo di tumori del sangue che colpisce i globuli bianchi), e di carcinoma a cellule renali (tumore del rene);11,12
  • una recente ricerca ha evidenziato come l’assunzione settimanale di una quantità fino al massimo di 4 dosi di alcol è associata con il più basso rischio complessivo di tumore o di morte.13

Sulla base di tutto questo e di The Dietary Guidelines for Americans 2015-2020, che suggeriscono un moderato consumo di alcol, pari a 17 millilitri per le donne e 28 ml per gli uomini al giorno, consiglio di bere un massimo di 3-5 dosi di alcol a settimana, equivalenti per esempio a un bicchiere di vino o una lattina di birra al giorno, da mercoledì a domenica. Questo non riguarda le persone affette da difetti genetici nell’enzima alcol deidrogenasi (ADH) che digerisce l’alcol, le quali devono evitare di consumarlo per non aumentare il rischio di tumore, in particolare al

pancreas e all’esofago.14, 15

Fonti

Valter Longo. Il cancro a digiuno. Milano: Vallardi, 2021.

Note

1 National Cancer Institute, “Alcohol and Cancer Risk”. Ultima revisione 13 settembre 2018. https://www.cancer.gov/about-cancer/causes- prevention/risk/alcohol/alcohol-fact-sheet.

2 Kiadaliri AA, Jarl J, Gavriilidis G, Gerdtham UG. “Alcohol Drinking Cessation and the Risk of Laryngeal and Pharyngeal Cancers: A Systematic Review and Meta-Analysis.” PLoS One. 2013;8(3):e58158. doi: 10.1371/journal.pone.0058158. PMID: 23469267; PMCID: PMC3585880.

3 Griffith, Christopher and Douglas Bogart. “Alcohol Consumption: can weSafely toast to our health?”.Missouri Medicine, vol. 109,6 (2012): 459-65.

4 Hashibe M, Brennan P, Chuang SC, Boccia S, Castellsague X, Chen C, Curado MP, Dal Maso L, Daudt AW, Fabianova E, Fernandez L, Wünsch-Filho V, Franceschi S, Hayes RB, Herrero R, Kelsey K, Koifman S, La Vecchia C, Lazarus P, Levi F, Lence JJ, Mates D, Matos E, Menezes A, McClean MD, Muscat J, Eluf-Neto J, Olshan AF, Purdue M, Rudnai P, Schwartz SM, Smith E, Sturgis EM, Szeszenia-Dabrowska N, Talamini R, Wei Q, Winn DM, Shangina O, Pilarska A, Zhang ZF, Ferro G, Berthiller J, Boffetta P. “Interaction between Tobacco and Alcohol Use and the Risk of Head and Neck Cancer: Pooled Analysis in The International Head and Neck Cancer Epidemiology Consortium.” Cancer Epidemiology, Biomarkers & Prevention. 2009. DOI: 10.1158/1055-9965.EPI-08-0347. PMID: 19190158; PMCID: PMC3051410.

Turati F, Garavello W, Tramacere I, Pelucchi C, Galeone C, Bagnardi V, Corrao G, Islami F, Fedirko V, Boffetta P, La Vecchia C, Negri E. “A Meta-Analysis of Alcohol Drinking and Oral and Pharyngeal Cancers: Results from Subgroup Analyses.” Alcohol and Alcoholism. Jan-Feb 2013;48(1):107-18. DOI: 10.1093/alcalc/ags100. PMID 22949102.

5 Allen NE, Beral V, Casabonne D, Kan SW, Reeves GK, Brown A, Green J. “Moderate Alcohol Intake and Cancer Incidence in Women.” Journal of the National Cancer Institute. 2009. DOI: 10.1093/jnci/djn514. PMID: 19244173.

6 Bagnardi V, Rota M, Botteri E, Tramacere I, Islami F, Fedirko V, Scotti L, Jenab M, Turati F, Pasquali E, Pelucchi C, Galeone C, Bellocco R, Negri E, Corrao G, Boffetta P, La Vecchia C. “Alcohol Consumption and Site-Specific Cancer Risk: A Comprehensive Dose-Response Meta-Analysis.” British Journal of Cancer. 2015. DOI: 10.1038/bjc.2014.579. PMID: 25422909; PMCID: PMC4453639.

LoConte NK, Brewster AM, Kaur JS, Merrill JK, Alberg AJ. “Alcohol and Cancer: A Statement of the American Society of Clinical Oncology.” Journal of Clinical Oncology. 2018. DOI: 10.1200/JCO.2017.76.1155. PMID: 29112463.

7 Druesne-Pecollo N, Keita Y, Touvier M, Chan DS, Norat T, Hercberg S, Latino-Martel P. “Alcohol Drinking and Second Primary Cancer Risk in Patients with Upper Aerodigestive Tract Cancers: a Systematic Review and Meta-Analysis of Observational Studies.” Cancer Epidemiology, Biomarkers & Prevention. 2014. DOI: 10.1158/1055-9965.EPI-13-0779. PMID: 24307268.

8 Na HK, Lee JY. “Molecular Basis of Alcohol-Related Gastric and Colon Cancer.” International Journal of Molecular Scieces. 2017. DOI: 10.3390/ijms18061116. PMID: 28538665; PMCID: PMC5485940.

9 Zhao J, Stockwell T, Roemer A, Chikritzhs T. “Is Alcohol Consumption a Risk Factor for Prostate Cancer? A Systematic Review and Meta-Analysis.” BMC Cancer. 2016. DOI: 10.1186/s12885-016-2891-z. PMID: 27842506; PMCID: PMC5109713.

10 Ibid. Bagnardi V, Rota M, Botteri E, Tramacere I, Islami F, Fedirko V, Scotti L, Jenab M, Turati F, Pasquali E, Pelucchi C, Galeone C, Belloc-co R, Negri E, Corrao G, Boffetta P, La Vecchia C. “Alcohol Consump-tion and Site-Specific Cancer Risk: A Comprehensive Dose-ResponseMeta-Analysis.” British Journal of Cancer. 2015 Feb 3;112(3):580-93.DOI: 10.1038/bjc.2014.579. Epub 2014 Nov 25. PMID: 25422909;PMCID: PMC4453639.

11 I. Tramacere, C. Pelucchi, M. Bonifazi, V. Bagnardi, M. Rota, R. Belloc-co, L. Scotti, F. Islami, G. Corrao, P. Boffetta, C. La Vecchia, E. Negri,“Alcohol Drinking and non-Hodgkin Lymphoma Risk: A SystematicReview and a Meta-Analysis”, Annals of Oncology, 2012. DOI: 10.1093/annonc/mds013. PMID: 22357444.

12 S.B. Seidelmann, B. Claggett, S. Cheng, M. Henglin, A. Shah, L.M. Steffen,A.R. Folsom, E.B. Rimm, W.C. Willett, S.D. Solomon, “Dietary Carbohy-drate Intake and Mortality: A Prospective Cohort Study and Meta-Analy-sis”,Lancet Public Health,2018. DOI: 10.1016/S2468-2667(18)30135-X.Epub 2018 Aug 17. PMID: 30122560; PMCID: PMC6339822.

13 Griffith, Christopher, and Douglas Bogart. “Alcohol Consumption:Can We Safely Toast to Our Health?”Missouri Medicinevol. 109,6(2012): 459-65.

14 Kanda J, Matsuo K, Suzuki T, Kawase T, Hiraki A, Watanabe M, Mizuno N, Sawaki A, Yamao K, Tajima K, Tanaka H. “Impact of Alcohol Consumption with Polymorphisms in Alcohol-Metabolizing Enzymes on Pancreatic Cancer Risk in Japanese.” Cancer Science. DOI: 10.1111/j.1349-7006.2008.01044.x. PMID: 19068087.

15 Wu C, Wang Z, Song X, et al. “Joint Analysis of Three Genome-Wide Association Studies of Esophageal Squamous Cell Carcinoma in Chinese Populations.” Nature Genetics. 2014. DOI: 10.1038/ng.3064. PMID: 25129146; PMCID: PMC4212832

MENO ANSIA E DEPRESSIONE GRAZIE ALL’ ATTIVITÀ FISICA

Diversi studi scientifici dimostrano i benefici dell’attività fisica. In particolare, si è visto che praticare sport può anche essere una cura per disturbi legati alla sfera dell’umore, come ansia e depressione. Tanto che, oltre a poter essere considerata una risorsa primaria per la salute psico-fisica di pazienti che seguono già una cura di tipo farmacologico, l’esercizio fisico può anche essere una terapia vera e propria, oltre che avere anche un effetto protettivo di protezione nell’insorgenza di malattie mentali. Il tutto viene migliorato se si segue uno stile alimentare sano e bilanciato.

DIETA SANA ED ESERCIZIO FISICO OGNI SETTIMANA

Uno studio portato avanti da un gruppo di ricercatori del Medical Centre della University of Vermont (a Burlington, negli Stati Uniti) ha visto coinvolti 100 pazienti del reparto psichiatrico, dove è stata fatta costruire una palestra. I partecipanti erano ricoverati per diverse patologie psichiche: ansia, depressione, bipolarismo e schizofrenia. Nei loro programmi terapeutici, oltre che un regime nutrizionale equilibrato, sono stati inclusi allenamenti della durata di 1 ora, con una frequenza di 4 volte a settimana. Le sessioni hanno previsto attività cardio-vascolari, esercizi con i pesi e stretching, sia a corpo libero sia con attrezzi.

I pazienti hanno compilato dei questionari auto-valutativi riguardo tono dell’umore e autostima, prima e dopo il periodo di studio. Al termine della sperimentazione, i partecipanti hanno rilevato livelli più bassi, di ansia, depressione e rabbia, nonché una maggiore autostima, rispetto all’inizio dell’indagine. In particolare, il 95% dei pazienti ha risposto che il loro umore era migliorato, il 65% ha riferito di sentirsi felice o molto felice. Nonché, il 91% dei partecipanti ha affermato di essere contento di come si sentiva fisicamente e il 97% ha dichiarato di voler continuare a praticare attività fisica. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Global Advances in Health and Medicine (maggio 2019).

 PRATICARE SPORT TIENE ALTRO IL TONO DELL’UMORE

Ricerche precedenti avevano già dimostrato la connessione tra attività fisica e tono dell’umore, dimostrando come chi pratica sport o va in palestra non soffre di depressione. A evidenziarlo è uno studio condotto presso l’Universidade La Salle in Brasile, da un team di ricercatori internazionali (americani, australiani, belgi, britannici e svedesi). Secondo questa indagine, l’attività fisica tiene lontano la depressione in ogni fascia d’età (giovani, adulti e anziani) e area geografica considerata.

I ricercatori hanno preso in esame i risultati di 49 studi che hanno incluso i dati di quasi 267mila individui (53% donne e 47% uomini) sani dal punto di vista mentale, seguiti per circa 7 anni e mezzo. Dalla ricerca è emerso che le persone più attive hanno avuto minori probabilità di sviluppare stati depressisi, rispetto agli individui con bassi livelli di attività fisica. Dimostrando come praticare sport abbia un effetto protettivo nei confronti della depressione, oltre che contrastarne l’insorgenza. I risultati di questa indagine sono stati pubblicati sulla rivista American Journal of Psichiatry (2018).

Uno studio antecedente della UC Davis – University of California (USA), aveva già dimostrato come l’attività fisica può influenzare positivamente stato mentale e umore. Praticare sport aumenta la produzione di due neurotrasmettitori (GABA e glutammato) i cui livelli, invece, risultano bassi in caso di depressione. Inoltre, sembra che fare sport aumenti l’attività neuro-fisiologica, rilevata attraverso elettroencefalogramma (EEG) e risonanza magnetica funzionale (RMF), riducendo così stati d’ansia e depressione, legati a impoverimento di GABA. I risultati di questo studio sono stati pubblicati su Journal of Neuroscience (2016).

Tuti questi dati sono a sostegno del fatto che l’attività fisica può essere una terapia efficace nella cura dei disturbi dell’umore, alleviandone i vari sintomi, tanto da ridurre significativamente il ricorso ai farmaci.

FONTI

  1. David Tomasi et Al. – Positive Patient Response to a Structured Exercise Program Delivered in Inpatient Psychiatry – (May 2019)
  2. Schuch et al., Physical Activity and Incident Depression: A Meta-Analysis of Prospective Cohort Studies, American Journal of Psychiatry (July 2018)
  3. Maddock RJ, Casazza GA, Fernandez DH, and Maddock MI. Acute Modulation of Cortical Glutamate and GABA Content by Physical Activity. Journal of Neuroscience (February 2016)

In collaborazione con Redazione Fondazione Valter Longo Onlus
Fondazione Valter Longo Onlus ha l’obiettivo di fare divulgazione scientifica sensibilizzando la comunità scientifica e non, ad uno stile di vita salutare ed una corretta alimentazione tramite la produzione di articoli scientifici esplicativi, contenuti testuali, infografiche e multimediali, e la diffusione delle attività cliniche, scientifiche, divulgative ed educative della Fondazione e del suo team di professionisti. Percorsi alimentari, scoperte scientifiche, studi clinici, trattamenti e tecnologie, eventi di sensibilizzazione nazionale e internazionale, iniziative di prevenzione nonché ricette della Longevità sono solo alcuni dei temi affrontati in articoli e interviste di approfondimento pubblicati quotidianamente e scritti in collaborazione con gli specialisti della Fondazione. Attivissima anche sui social, la redazione di Fondazione Valter Longo Onlus propone inoltre una newsletter mensile inviata a tutti gli iscritti, per rimanere sempre aggiornati sulle più interessanti novità legate al mondo della Salute, Nutrizione e Longevità.

GIORNATA INTERNAZIONALE DEI MIGRANTI

UN LIBRO COLLETTIVO PER FAVORIRE L’INCLUSIONE ATTRAVERSO IL CIBO – INVIATE IL VOSTRO CONTRIBUTO

In questa occasione speciale, vorremmo ricordare a tutti noi come il cibo possa essere uno strumento importante per favorire l’inclusione, l’apertura e l’incontro con altre culture.

Per questo le mie Fondazioni hanno dato vita a un progetto condiviso:

“Il libro collettivo di ricette, storie e tradizione della longevità”

L’obiettivo è quello di creare un libro collettivo con ricette, storie, tradizioni della longevità provenienti da tutto il mondo per promuovere comunità più inclusive ed espandere la nostra conoscenza di altre culture.

Il vostro contributo e il vostro nome appariranno nel libro che verrà pubblicato il prossimo anno.

I proventi verranno utilizzati per progetti non profit per scuole, famiglie, pazienti in condizione economiche e di salute critica, persone con disabilità, donne che intraprendono un percorso di uscita dalla violenza.

Siamo lieti di poter collaborare tutti insieme per creare comunità e realtà inclusive, sane e sostenibili.

LINEE GUIDA – COME IL VOSTRO CONTRIBUTO

Per maggiori informazioni cliccate qui per leggere le linee guida

INVIATE IL VOSTRO CONTRIBUTO

Fai clic o trascina il file su quest'area per caricarlo.
Per maggiori informazioni contattate [email protected] indicando nell’oggetto “Libro collettivo”.

 

GIORNATA INTERNAZIONALE DELLE BAMBINE E DELLE RAGAZZE

Linee guida nutrizionale e di stile di vita per le donne per rafforzareil sistema immunitario

Informazioni utili per fasce d’età riguardanti:

  • Fabbisogni nutrizionali
  • Attività fisica
  • Sonno
  • Ricette della longevità

BAMBINE (1-10 anni)

Fabbisogni nutrizionali

Il periodo dell’infanzia è caratterizzato da un aumento della crescita e, di conseguenza, i fabbisogni aumentano: l’introito calorico varia dalle 770 kcal alle 2230 kcal in base all’età e all’attività fisica.

Per sostenere adeguatamente il sistema immunitario in questo periodo della vita risulta importante assumere il giusto apporto proteico, che non deve essere in eccesso. La quota di proteine giornaliere varia in base alla fascia d’età: da 0,82 g a 0,72 per Kg di peso corporeo al giorno.

Anche gli acidi grassi (EPA e DHA) sono essenziali per il sistema immunitario e il corretto sviluppo neuronale12 e si trovano in alimenti come pesce, frutta secca e semi oleosi.

Durante la giornata, le calorie giornaliere dovrebbero essere così suddivise: 15% colazione, 5% spuntino, 40%pranzo, 10% merenda e 30% cena. In particolare, è veramente essenziale abituare i bambini ad effettuare la prima colazione, in quanto nel lungo periodo riduce il rischio di obesità e di malattie cardiovascolari e migliora la lucidità mentale. Si raccomanda un digiuno notturno di 10-12 ore.

La colazione deve essere composta da una fonte proteica (ad esempio il latte), una di carboidrati (ad esempio biscotti) e una di grassi (ad esempio noci). Per variare, è possibile sostituire il latte vaccino con il latte di capra, lo yogurt (magro, di capra o vegetale) e il latte vegetale (assicurandosi che sia senza zuccheri e arricchito di vitamina D e calcio).

I biscotti o il pane comune possono essere sostituiti con le loro versioni integrali, oppure con un mix di cereali integrali. Per quanto riguarda i grassi, è importante che siano “buoni”, dunque, si consiglia l’utilizzo di frutta secca (anche attraverso creme spalmabili ad alto contenuto di frutta secca) o olio extravergine di oliva, limitando i grassi saturi e gli zuccheri.

Attività fisica

L’attività fisica in età infantile è fondamentale per il corretto sviluppo dei bambini al fine di prevenire la sindrome metabolica da adulto. Questa non si riferisce a una singola malattia, ma a un insieme di fattori che mettono gli individui a rischio di contrarre malattie cardiovascolari, diabete, ecc. e che sono collegati ad eccessivo grasso, in particolare addominale, ipertensione arteriosa, alti livelli di trigliceridi e glicemia a digiuno.

L’attività fisica è molto importante nella prevenzione di questo tipo di condizione e permette di garantire un corretto sviluppo della massa muscolare, massimizzare la crescita ossea e compensarne la successiva perdita associata all’invecchiamento. Oltre ad avere un importante ruolo nella crescita fisica, ha anche molta importanza per lo sviluppo cognitivo dei bambini.

Una corretta e costante attività fisica contribuisce anche al potenziamento del sistema immunitario, come descritto in letteratura e nel libro La longevità inizia da bambini del Professor Valter Longo.

Secondo le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, i bambini dovrebbero praticare almeno 60 minuti di attività fisica quotidiana mediamente intensa, accompagnata da esercizi di rafforzamento dell’apparato muscolo-scheletrico almeno 3 volte a settimana.

Svolgere attività superiore ai 60 minuti, anche attraverso attività ludiche, migliora ulteriormente lo stato di salute psicofisico dei bambini.

Sonno

La dieta non corretta è la causa numero uno dei problemi di sonno tra le bambine e i bambini, soprattutto se si consumano bevande zuccherate e snack vicino o subito prima di andare a dormire. Il sonno giornaliero consigliato è di 11-14 ore.

LE 5 ISOLE FELICI DOVE VIVERE MEGLIO E PIÙ A LUNGO

di Corinna Montana Lampo

Gli studiosi hanno individuato 5 luoghi nel mondo dove si vive meglio e più a lungo. Cinque aree in cui l’età media è più alta rispetto a tutto il resto del pianeta. Oltre ad avere in comune diversi segreti legati alla longevità, si tratta di cinque località dove si è anche più felici. Luoghi dove si conduce uno stile di vita sano che, insieme a un regime alimentare bilanciato, garantisce l’estensione della prospettiva di vita. In queste zone, infatti, si annovera il più alto numero di centenari viventi al mondo, si vive più a lungo e anche più in salute. In generale, qui la popolazione si ammala di meno, soprattutto di tumore e patologie legate a disturbi cardio-vascolari, che invece sono tra le principali cause di decesso in tutto il resto del mondo.

COSA SONO LE BLUE ZONES

Il concetto di Blue Zones era stato lanciato dai ricercatori Gianni Pes e Michel Poulain a seguito di un loro studio demografico sulla longevità umana pubblicato su Experimental Gerontology. I due studiosi avevano identificato nella provincia di Nuoro, in Sardegna, la zona con la maggiore concentrazione di centenari al mondo. Nel procedere con lo studio, i ricercatori tracciavano sulla cartina geografica una serie di cerchi blu concentrici, per indicare le zone caratterizzate da longevità più elevata. Da questo metodo è nato il termine “zona blu”. Alla Sardegna, si sono aggiunte altre quattro Blue Zones.

QUALI SONO LE 5 ZONE BLU NEL MONDO

Il giornalista americano Dan Buettner, collaborando con il National Geographic, insieme a ricercatori di fama mondiale specializzati in longevità, ha individuato le zone del mondo dove le persone vivono meglio e più a lungo fino a raggiungere e, in alcuni casi, superare i 100 anni. Ecco quali sono le 5 Blue Zones:

  • Okinawa in Giappone (isola più longeva al mondo, per l’alta percentuale centenari e donne over 90)
  • Loma Linda in California (comunità di Avventisti che vivono 10 anni in più rispetto ai californiani)
  • Nicoya in Costa Rica (penisola seconda al mondo per la più alta presenza di centenari maschi)
  • Ikaria in Grecia (isola in cui la maggior parte degli abitanti dell’isola supera i 90 anni d’età)
  • Sardegna in Italia (provincia di Nuoro con la più alta concentrazione al mondo di centenari maschi)

CHE COSA HANNO IN COMUNE GLI ABITANTI DELLE ZONE BLU

Gli abitanti delle Zone Blu hanno in comune alcune caratteristiche nel modo vivere, come pure un regime alimentare analogo, che si suppone favoriscano una vita più sana e la longevità:

  • Dieta principalmente vegetariana a base di verdure, cereali integrali, legumi e frutta a guscio
  • Attività fisica regolare quotidiana, vissuta come un piacere ad esempio passeggiare in natura
  • Struttura sociale che mette al centro la famiglia e i rapporti sociali, con momenti di convivialità
  • Fede religiosa e spiritualità ancora presente e molto vissuta a livello di tutta la comunità

Gli studiosi pensano che tali peculiarità possano apportare il benessere ed essere esportati altrove.

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FONTI

  1. Valter Longo, La dieta della longevità, Vallardi Editore 2016
  2. Dan Buettner; The blue zones: lessons for living longer from the people who’ve lived the longest; National Geographic 2012
  3. Inspired by the world’s longest-lived cultures, we help you: live longer, better (data ultimo accesso 03.05.2019)
  4. Buettner D, Skemp S; Blue Zones: Lessons From the World’s Longest Lived; American Journal of Lifestyle Medicine 2016
  5. Badri N Mishra; Secret of eternal youth; teaching from the centenarian hot spots (“Blue Zones”); Indian Journal od Community Medicine 2009