LO STRESS DA LAVORO, NELLE DONNE, PUÒ FAVORIRE LA COMPARSA DI DIABETE

stress da lavoro

Un impegno di lavoro molto stancante dal punto di vista mentale, per il sesso femminile, può comportare l’aumento del rischio di diabete di tipo 2. Lo svela uno studio condotto presso il CESP (Centre de Recherche en Epidémiologie et Santé des Populations) dell’Inserm (Institut national de la santé e de la recherche médicale) di Parigi. I risultati dell’indagine sono stati pubblicati sulla rivista scientifica European Journal of Endocrinology (aprile 2019).

 

IL RISCHIO DI DIABETE AUMENTA ANCHE NELLE DONNE NORMOPESO

Lo studio in questione è stato portato avanti da un gruppo di ricercatori francesi su un ampio campione di oltre 70mila donne, monitorate nel corso di un lungo periodo di osservazione di oltre 20 anni (dal 1992 al 2014). Gli esperti hanno cercato di trovare l’esistenza di una correlazione tra un lavoro “mentalmente molto stancante” e il rischio di sviluppare diabete di tipo 2. Il 75% delle donne incluse nello studio erano insegnanti, di cui il 24% ha dichiarato di svolgere un lavoro mentalmente estenuante. È risultato che le donne “lavoratrici con impegno mentale elevato” hanno registrato un rischio di diabete maggiore del 21%, rispetto alle donne che svolgevano un lavoro “poco o per nulla stancante mentalmente”.

 

Ovvero, nel periodo di osservazione, 4.187 donne (su un totale di 73.517) hanno sviluppato diabete di tipo 2, con prevalenza particolarmente elevata tra quelle che svolgono lavori stressanti dal punto di vista mentale. Associazione risultata indipendentemente dallo stile di vita (abitudini alimentari sane / non sane, fumatrici / non fumatrici etc.) e dai classici fattori di rischio per il diabete (sedentarietà, sovrappeso, obesità, colesterolo alto, ipertensione, problematiche cardiovascolari, età superiore ai 45 anni, familiarità nel diabete). Mentre è stata trovata un’interazione tra stress da lavoro mentale e Indice di Massa Corporeo molto significativa, con un’associazione più forte nelle donne normopeso rispetto a quelle in sovrappeso.

 

STUDI FUTURI PER TROVARE NUOVE CURE

Da questo studio osservazionale risulta che altri fattori, di tipo psicologico, come la depressione e lo stress da lavoro possono svolgere un ruolo nell’aumentare il rischio di ammalarsi di diabete di tipo 2. Da qui il monito degli esperti è di dare un maggiore sostegno per donne che svolgono lavori molto impegnativi dal punto di vista mentale. Il prossimo obiettivo dei ricercatori, inoltre, è di allargare lo studio, analizzando l’effetto di un lavoro mentalmente stressante e impegnativo in soggetti che sono già affetti da diabete di tipo 2, con l’intento di trovare nuove possibilità di cura e gestione della malattia diabetica stessa.

 

 

FONTI

Guy Fagherazzi et al. – Mentally tiring work and type 2 diabetes in women: a 22-year follow-up study – European Journal of Endocrinology (April 2019)

SCONTI PER FRUTTA E VERDURA, INVECE DI FARMACI, NELLE RICETTE DEL MEDICO

Il futuro che vorremmo: prescrizioni mediche con frutta e verdura, rimborsate dal servizio sanitario nazionale, al posto dei farmaci, per la prevenzione delle malattie e per garantirci una salute ottimale. Questa è l’ipotesi messa al vaglio, attraverso una simulazione reale, da un team di ricercatori statunitensi.

MANGIARE MALE COSTA CARO IN TERMINI DI SALUTE E DI SPESA PUBBLICA
Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Plos Medicine (marzo 2019), ha previsto l’introduzione di una ricetta medica, comprensiva di sconto, per acquistare frutta verdura e altri cibi sani, con l’intento di incoraggiare le persone ad alimentarsi in modo più corretto, con un risvolto diretto nel migliorare la salute e uno indiretto nel generare risparmi fino a 100 miliardi di dollari per il sistema sanitario nazionale.

La spesa sanitaria è in continua crescita a livello planetario, a causa soprattutto di malattie cardio-vascolari e diabete, patologie su cui si può agire a livello preventivo seguendo un’alimentazione sana a base di prodotti naturali. In Italia, per esempio, più del 5% della popolazione soffre di diabete e le malattie cardio-vascolari sono in continuo aumento, tanto da rappresentare la principale causa di morte, con il triste primato del 44% di decessi su tutto il territorio italiano. Anche la spesa sanitaria pubblica ne paga le conseguenze. Per citare qualche dato: nel 2000, i farmaci per la cura di patologie cardio-vascolari hanno rappresentato il 23,5% della spesa destinata ai medicinali. Un dato enorme, se si pensa che potremmo agire con la dieta.

CON L’ALIMENTAZIONE SANA SI VIVE MEGLIO E SI RISPARMIA
Ecco che due ricercatori americani, Yujin Lee e Dariush Mozaffarian, insieme ad altri colleghi, hanno pensato di ideare una simulazione che avesse l’obiettivo di promuovere uno stile alimentare più salutare e, al tempo stesso, ridurre le spese sanitarie, grazie all’introduzione di incentivi economici sull’acquisto di prodotti sani. Partendo dal presupposto che negli USA 1 cittadino su 3 è coperto da un’assicurazione sanitaria (Medicare e Medicaid, che sono i due programmi più grandi a livello federale negli Stati Uniti), sono stati analizzati due scenari. Il primo, ha previsto prescrizioni mediche con uno sconto del 30% sull’acquisto di frutta e verdura. Il secondo, prevedeva sconti anche per altri alimenti salutari, come prodotti integrali, frutta secca, semi oleosi, pesce e olii vegetali, oltre che frutta e verdura.

Secondo l’analisi dei dati (incrociati considerando età, etnia, livello di educazione e reddito) il primo programma potrebbe prevenire 1,93 milioni di eventi cardio-vascolari, evitare 350mila morti e sarebbe in grado di far risparmiare oltre 40 milioni di dollari al sistema sanitario. Con il secondo programma, invece, ci sarebbe ulteriori benefici: 3,28 milioni di eventi cardio-vascolari in meno, 620mila morti evitate, e un enorme risparmio sulla spesa sanitaria di 100 miliardi di dollari. Promuovere un’alimentazione sana grazie a questi sconti porterebbe dunque benefici effettivi sia in termini di salute sia di conti economici.

FONTI

Yujin Lee, Dariush Mozaffarian et Al. – Cost-effectiveness of financial incentives for improving diet and health through Medicare and Medicaid: A microsimulation study – Plos Medicine March 19, 2019

OLIO D’OLIVA, ELISIR DI LUNGA VITA

La dieta mediterranea è spesso al centro di studi scientifici che ne attestano l’effetto protettivo nei confronti di diverse malattie croniche legate all’invecchiamento. In particolare, sarebbe l’abbondante uso di olio d’oliva a determinare queste proprietà. L’olio d’oliva, infatti, contiene alcune sostanze particolarmente benefiche per la nostra salute. Il suo gusto gradevole, poi, lo rende appetibile e adatto a tutti.

GLI EFFETTI BENEFICI DELL’OLIO D’OLIVA PER LA SALUTE
Il consumo quotidiano di olio extra-vergine d’oliva (evo) aiuta a contrastare l’innalzamento della glicemia post-pranzo, soprattutto in caso di assunzione di cibi a elevato indice glicemico, nelle persone affette da diabete mellito di tipo 1. È l’acido oleico contenuto nell’olio d’oliva a svolgere un ruolo protettivo, riducendo la glicemia a digiuno e la sensibilità all’insulina, migliorando così anche la circolazione sanguigna. E ciò è attestato anche nei soggetti sani.

Un altro effetto benefico del consumo di olio d’oliva è strettamente connesso con la prevenzione delle malattie cardio-vascolari. Nello specifico, la presenza di acidi grassi monoinsaturi agisce migliorando i processi di biosintesi e metabolismo del colesterolo. Si riducono i livelli di colesterolo totale, per effetto di una diminuzione di colesterolo cattivo LDL, grazie all’acido oleico da un lato, e all’aumento dei livelli di colesterolo buono HDL, per la presenza di polifenoli dall’altro. In tal modo, si minimizza la formazione di placche aterosclerotiche, causa dell’ostruzione dei vasi sanguigni, che possono determinare l’insorgere di problematiche cardio-circolatorie, fino a provocare ictus o infarto. Acido oleico, polifenoli e vitamina E contenuti nell’olio evo, oltre a proteggere le arterie dal danno ossidativo e dall’aterogenesi, inducono una diminuzione della pressione sanguigna. Tutto comprovato da ricerche scientifiche.

Altri studi attestano l’effetto protettivo dell’olio d’oliva, in particolare quello extra-vergine, nei confronti dei tumori, poiché contiene diverse sostanze in grado di innescare la morte delle cellule neoplasiche. Acido oleico, squalene e polifenoli, per esempio, agiscono con un effetto anti-tumorale nella prevenzione di cancro a seno e ovaio. I polifenoli contenuti nell’olio d’oliva svolgono un’efficace azione protettiva anche nei confronti del tumore al colon-retto. Altre indagini hanno messo in relazione l’assunzione di olio evo e una buona densità ossea, con un ruolo protettivo nei confronti dell’osteoporosi. Infine, recenti ricerche scientifiche attestano che l’olio d’oliva svolge un effetto protettivo nei confronti del declino cognitivo.

OLIO D’OLIVA, DIGESTIONE E INTESTINO
L’olio extra-vergine d’oliva è l’olio vegetale più digeribile, grazie al suo elevato contenuto di acidi grassi monoinsaturi. L’elevata concentrazione di acido oleico (65-80%) favorisce la riduzione della secrezione gastrica, con azione preventiva e curativa di gastrite e ulcere. L’acido oleico favorisce la digestione dei grassi, per l’azione stimolante sulla cistifellea. La sua struttura chimica, poi, lo rende fluido facilitando il passaggio lungo la mucosa intestinale, con effetto blandamente lassativo (se assunto a stomaco vuoto). A livello dell’intestino, inoltre, i polifenoli dell’olio d’oliva svolgono un’importante attività anti-microbica.

LA GIUSTA QUANTITÀ DI OLIO D’OLIVA
Secondo gli esperti, la dose di olio evo indicata per la salute è superiore ai 10-20 grammi al giorno, pari a uno o due cucchiai da cucina. Avendo un punto di fumo alto (180-210 °C) l’olio evo si presta anche alla cottura, ma la degradazione dei suoi composti bioattivi può portare alla formazione di sostanze irritanti per lo stomaco e tossiche per il fegato. Meglio consumarlo durante i pasti a crudo per preservarne i contenuti nutrizionali.

FONTI

  1. Valls-Pedret C et al.; Mediterranean diet and age-related cognitive decline: a randomized clinical trial; JAMA International Medicine 2015 Jul.
  2. Guasch-Ferré M et al.; Olive oil intake and risk of cardiovascular disease and mortality in the PREDIMED Study; BMC Med. 2014 MayG
  3. Sofi F et al.; Accruing evidence on benefits of adherence to the Mediterranean diet on health: an updated systematic rewiev an meta-analysis; The American Journal of Clinical Nutrition 2010 Nov.
  4. Sofi F et al.; Mediterranean diet and health status: an updated meta-analysis and proposal for literature-based adherence score; Public Health Nutrition 2014 Dec.
  5. Estruch R et al.; Mediterranean diet for primary prevention of cardiovascular disease; The New England Journal of Medicine 2013 AprE
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  8. Violi F et al.; Extra virgin olive oil use is associated with improved post-prandial blood glucose and LDL cholesterol in healthy subjects. Nutr Diabetes. 2015 Jul 20.
  9. Bozzetto L et al.;  Extra-Virgin Olive Oil Reduces Glycemic Response to a High–Glycemic Index Meal in Patients With Type 1 Diabetes: A Randomized Controlled Trial. Diabetes Care 2016 Feb.
  10. Baraldi FG et al.; The combination of conjugated linoleic acid (CLA) and extra virgin olive oil increases mitochondrial and body metabolism and prevents CLA-associated insulin resistance and liver hypertrophy in C57Bl/6 mice. J Nutr Biochem. 2016 Feb.
  11. D’Amore S et al. – Genes and miRNA expression signatures in peripheral blood mononuclear cells in healthy subjects and patients with metabolic syndrome after acute intake of extra virgin olive oil. Biochim Biophys Acta. 2016 Nov.
  12. Psaltopoulou T et al. – Olive oil intake is inversely related to cancer prevalence: a systematic review and a meta-analysis of 13800 patients and 23340 controls in 19 observational studies. Lipids Health Dis. 2011.
  13. Javier A Menendez et al.; tabAnti-HER2 (erbB-2) oncogene effects of phenolic compounds directly isolated from commercial Extra-Virgin Olive Oil (EVOO). BMC Cancer. 2008
  14. Di Francesco A et al.; Extravirgin olive oil up-regulates CB₁ tumor suppressor gene in human colon cancer cells and in rat colon via epigenetic mechanisms. J Nutr Biochem. 2015 Mar.
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  19. Manna; Galletti; et al. – The Protective Effect of the Olive Oil Polyphenol (3,4-Dihydroxyphenyl)- ethanol Counteracts Reactive Oxygen Metabolite–Induced Cytotoxicity in Caco-2 Cells1,2(1997)
  20. Tuck KL Hayball PJ – Major phenolic compounds in olive oil: metabolism and health effects (2002) J Nutr Biochem. 2002 Nov.
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  24. Buckland and Gonzalez – The role of olive oil in disease prevention: a focus on the recent epidemiological evidence from cohort studies and dietary intervention trials. British journal of nutrition 2015.

ALLERGIE ALIMENTARI: 1 ADULTO SU 10 NE SOFFRE, MA IL DOPPIO PENSA DI AVERLE

Le allergie alimentari sono sempre più diffuse, ma chi davvero ne soffre e chi invece ha solo un’intolleranza ad alcuni cibi? Uno studio americano, pubblicato su JAMA Network Open (gennaio 2019), mette in luce che oltre il 10% degli adulti negli USA (più di 26 milioni) è allergico oppure è intollerante a qualche alimento.

GLI ALLERGENI ALIMENTARI PIÙ DIFFUSI IN USA
Tra i cibi che scatenano allergie alimentari, nella popolazione adulta degli Stati Uniti, al primo posto ci sono i frutti di mare, tra cui crostacei e molluschi (che interessano 7,2 milioni di individui), a seguire latte (4,7 milioni di adulti colpiti), arachidi (4,5 milioni), altra frutta a guscio (3 milioni), pesce (2,2 milioni), uova ( 2 milioni), grano (2 milioni), soia (2 milioni) e sesamo (1,5 milioni). Ancora non è ben chiaro quali siano i meccanismi per cui l’allergia ai frutti di mare si sviluppi più comunemente in età adulta.

LO STUDIO AMERICANO SULLE ALLERGIE ALIMENTARI
La ricerca scientifica pubblicata su JAMA è stata condotta presso il Lurie Children’s Hospital di Chicago, da un team di esperti guidati da Ruchi Gupta (Professore di Pediatria della Northwestern University Feinberg School of Medicine) e ha interessato un campione di 40mila adulti americani. I risultati dell’indagine hanno rivelato che il 19% degli individui adulti in USA, pensa di essere allergico a determinati cibi. Anche se i sintomi riferiti dall’8,2% non sono collegabili a una e vera propria allergia alimentare (che in alcuni casi può essere molto pericolosa, fino a provocare shock anafilattici e mettere a repentaglio la vita di chi ne soffre).

Lo studio portato avanti dal Professor Gupta mette in evidenza che 1 adulto su 10 soffre di allergia alimentare, ma quasi il doppio degli individui adulti intervistati è convinto di essere allergico a qualche cibo. Quando, invece, i sintomi riportati sono più coerenti con un’intolleranza o sensibilizzazione alimentare, come pure ad altre condizioni di salute in generale. Inoltre, attraverso questa indagine, i ricercatori hanno scoperto che solo la metà dei soggetti che dichiarava di avere un’allergia alimentare aveva una diagnosi medica. Mentre chi davvero soffriva di allergia, nella metà dei casi l’aveva sviluppata da adulto. Ecco perché sono necessari ulteriori approfondimenti scientifici per capire come mai le allergie alimentari siano in continuo aumento (in particolare quella ai crostacei), soprattutto per quanto riguarda la popolazione adulta.

In generale, per accertarsi di soffrire davvero di una qualche allergia alimentare, il consiglio degli esperti è di rivolgersi a un medico che possa indicare quali siano le analisi cliniche e i test per arrivare a una diagnosi. Come per ogni condizione che riguarda la nostra salute, anche in questo caso, è di fondamentale importanza evitare il fai-da-te e, invece, affidarsi alle cure di professionisti e operatori sanitari specializzati.

FONTI

Ruchi Gupta et Al. – Prevalence and Severity of Food Allergies Among US Adults – JAMA Network Open January 4, 2019

EFFETTO DELLA DIETA SUL CANCRO ALL’INTESTINO

Il tumore al colon-retto rappresenta il terzo tipo di tumore più comune in Inghilterra, con circa 23mila diagnosi all’anno. Un eccessivo consumo di carne rossa, tra le principali cause. Uno nuovo studio, condotto presso la University of Oxford (Regno unito), mette all’erta dimostrando che anche un modesto apporto di carne rossa può aumentare il rischio di incidenza di tumore all’intestino. I risultati della ricerca sono stati pubblicati su International Journal of Edidemiology (giugno 2019).

ANCHE POCA CARNE ROSSA AUMENTA L’INCIDENZA DEL 20%
In precedenza, sono già stati condotti numerosi studi scientifici sull’associazione dello sviluppo di cancro all’intestino e il consumo di carne rossa. Indagini afferite principalmente a diete relative agli anni ’90 e antecedenti. Il nuovo studio di Oxford (finanziato in parte dalla Cancer Research UK) fornisce dati aggiornati e mette luce, con una visione più attuale, la pericolosità del consumo di carne rossa ai nostri giorni.

Lo studio ha monitorato, per una media di 5,7 anni (dal 2006 al 2010) un campione di quasi 500mila individui di entrambe i sessi, con età compresa tra 40 e 69 anni. Ai partecipanti sono stati fatti compilare questionari sulla frequenza in cui consumavano carne rossa, trasformata e non. I risultati hanno indicato che anche piccole quantità di carne (che sia roast beef, agnello, prosciutto, pancetta o altro) consumata ogni giorno, può aumentare la possibilità di sviluppare un tumore all’intestino del 20%. Ovvero, delle 475.581 persone che hanno partecipato allo studio, ben 2609 hanno sviluppato un cancro al colon.

FIBRE E CEREALI DIMINUISCONO I RISCHI PER CANCRO ALL’INTESTINO
L’analisi dei dati ha rivelato che i soggetti che hanno riferito un consumo medio di 76 grammi al giorno di carne, rossa e trasformata, hanno riportato un aumento del rischio per il carcinoma del colon-retto maggiore del 20%, rispetto a chi invece ha dichiarato di consumare 21 grammi al giorno. In particolare, per quanto riguarda solo la carne trasformata, il rischio di tumore all’intestino è risultato maggiore del 19% negli individui che hanno consumato in media 29 grammi al giorno, rispetto che chi ne mangiava solo 5 grammi al giorno. Per le carni rosse non trasformate, poi, il rischio è risultato maggiore del 15% in chi ne assumeva 54 grammi al giorno, rispetto invece a chi ne mangiava solo 8 grammi al giorno.

Un dato interessante poi, si riferisce all’assunzione di fibre, da pane e cereali per la colazione. In questo caso, i partecipanti hanno avuto un rischio ridotto di tumore al colon-retto del 14%. Mentre il consumo di alcool (per un’assunzione superiore a 10 grammi al giorno) è stato associato a un rischio maggiore dell’8%. Pesce, pollame, formaggio, frutta, verdura, tè e caffè, invece, non sono stati associati al rischio di cancro all’intestino. L’indicazione è di ridurre al minimo l’assunzione di carne rossa e lavorata, a non oltre le due volte a settimana. Per alcuni esperti, ottimo eliminare totalmente la carne rossa dalle nostre tavole.

FONTI
Kathryn E Bradbury, Neil Murphy, Timothy J Key- Diet and colorectal cancer in UK Biobank: a prospective study – International Journal of Epidemiology (April 2019)

CIBI INDUSTRIALI E RISCHIO DI MORTE PREMATURA

I cibi industriali, non solo ci fanno ingrassare, ma aumentano il rischio di morte prematura per diverse cause. Lo dimostrano alcuni nuovi studi di recente pubblicazione su riviste di riferimento per il mondo scientifico. Prodotti industriali, confezionati, dolciumi, snack, bibite gassate e piatti pronti non fanno bene alla nostra salute e la compromettono fino a farci ammalare. I cibi ultra-processati, infatti, sono ricchi di zuccheri, sale, grassi saturi, additivi, conservanti e coloranti, ma sono carenti di vitamine, minerali e fibre.

LE CONFERME DAI NUOVI STUDI
Il primo studio riguarda una ricerca francese condotta presso l’Universitè Paris 13, i cui risultati sono stati pubblicati su Jama Internal Medicine (febbraio 2019). L’indagine fa parte di uno studio più ampio chiamato NutriNet-Santé. In questo caso, sono stati coinvolti 44mila individui, con età superiore ai 45 anni, monitorati per circa 7 anni (dal 2009 al 2017). Ogni 6 mesi, ai partecipanti, sono stati proposti sondaggi da compilare online. Le domande vertevano su quanto della loro dieta provenisse da cibi ultra-processati. I risultati attestano che un aumento del 10% del consumo di alimenti industriali è associato a un aumento del 10% nella probabilità di morte prematura (soprattutto per cancro e malattie cardio-vascolari).

Una conferma arriva da un’ulteriore indagine condotta in Francia, sempre nell’ambito dello studio NutriNet-Santé. I risultati, pubblicati su British Medical Journal (maggio 2019), evidenziano il legame tra consumo di cibi ultra-processati e aumento del rischio di malattie cardio-vascolari e morte prematura. In questo caso, sono stati analizzati i dati di 105mila persone (79% donne e 21% uomini) di nazionalità francese, di età media di 43 anni. I partecipanti hanno compilato 6 questionari riguardo le loro abitudini alimentari, mentre le percentuali di incidenza delle malattie (patologie cardio-vascolari, coronaropatie, malattie cerebro-vascolari) sono state misurate nell’arco di 10 anni (dal 2009 al 2018). Anche in questo caso, un aumento del 10% nel consumo di alimenti ultra-processati ha comportato tassi più elevati nelle patologie considerate, rispettivamente: 12% cardio-vascolari, 13% coronaropatie e 11% malattie cerebro-vascolari.

Anche i risultati dello studio Seguimento dell’Universidad de Navarra, in Spagna, pubblicati su British Medical Journal (maggio 2019) evidenziano che il consumo di cibo ultra-processato aumenta il rischio di morte per tutte le cause. In questa indagine, sono stati analizzati i dati di 19mila adulti spagnoli, con età media di 38 anni, divisi in due gruppi: il primo ha consumato 4 porzioni al giorno di alimenti industriali, il secondo gruppo ne consumava meno di due porzioni al giorno. In tal caso, il rischio di mortalità aumenta del 62%.

QUALI SONO I PROVVENIMENTI DA PRENDERE
Con questi studi, i ricercatori vogliono portare l’attenzione sull’importanza di seguire una dieta sana, fatta di alimenti freschi, evitando il più possibile i prodotti industriali. L’ideale, poi, sarebbe che venissero attuate delle direttive a livello politico. In attesa di nuovi studi che vadano a indagare la relazione di causa-effetto tra consumo di cibi ultra-processati, rischio di malattie e mortalità; come pure sono necessarie ulteriori ricerche per indagare sugli effetti fisiologici degli alimenti industriali. L’ipotesi è che le caratteristiche fisico-chimiche di questi cibi alterino il microbioma intestinale, causando uno squilibrio del metabolismo energetico.

FONTI
Laure Schnabel, MD, Emmanuelle Kesse-Guyot, Benjamin Allès et Al. – Association Between Ultraprocessed Food Consumption and Risk of Mortality Among Middle-aged Adults in France – JAMA International Medicine – (February 2019)
Bernard Srour et Al. – Ultra-processed food intake and risk of cardiovascular disease: prospective cohort study (NutriNet-Santé) – British Medical Journal (May 2019)
Rico-Campà A. et Al. – Association between consumption of ultra-processed foods and all cause mortality: SUN prospective cohort study – British Medical Journal (May 2019)
Étude NutriNet-Santé – L’étude NutriNet-Santé

QUANTE TAZZINE DI CAFFÈ POSSIAMO BERE AL GIORNO?

Il caffè è spesso oggetto di numerose ricerche scientifiche. Bevanda a base di caffeina, consumata in tutto il mondo e tanto amata in Italia, per il tradizionale “rito della moka” a colazione oppure dopo pranzo, da bere in compagnia o al bar come break dall’effetto energizzante. Quanto caffè si può consumare al giorno? Un nuovo studio della University of South Australia ha stabilito quale sia la quantità di caffè da poter bere al giorno, oltre la quale troppo può nuocere alla nostra salute, soprattutto al cuore. Secondo i risultati della nuova indagine, infatti, assumere 6 o più tazzine di caffè espresso ogni giorno, può aumentare il rischio cardiovascolare. I risultati sono pubblicati su The American Journal of Clinical Nutrition (marzo 2019).

UN CONSUMO MODERATO DI CAFFÈ APPORTA BENEFICI PER LA SALUTE
L’indagine portata avanti dai ricercatori dell’Australian Centre for Precision Health University of South Australia, ha analizzato dati genetici e informazioni sull’assunzione abituale di caffè in un campione di quasi 350mila persone. Dati estrapolati dalla Biobank UK (enorme database riferito a un vasto studio inglese condotto sul lungo termine), inclusi quasi 8,4mila casi di eventi cardio-vascolari, come infarto o ictus.

Dall’analisi statistica dei dati è emerso che il rischio cardio-vascolare (inteso come ipertensione e aumento dell’incidenza di infarto del miocardio) è associato alla quantità di caffè assunta giornalmente. Nello specifico, i ricercatori australiani hanno scoperto che bere 6 o più tazzine di caffè al giorno fa aumentare del 22% il rischio cardio-vascolare (rispetto a chi, invece, ne beve solo una o due). Lo studio porta con sé anche una nuova rivelazione. Ovvero che anche chi non beve per nulla caffè o chi sceglie il decaffeinato presenta un lieve aumento di rischio cardio-vascolare, rispettivamente 11% per chi non lo beve e 7% per chi preferisce decaffeinato. Come spesso accade è un consumo moderato che, invece, porta con sé dei benefici. Infatti, chi beve da uno a due caffè al giorno ha un rischio molto basso, come pure chi ne assume tre o quattro. L’effetto protettivo nel consumo moderato di caffè sta nella presenza di determinate sostanze, composti antiossidanti e antinfiammatori.

5 CAFFÈ AL GIORNO È LA DOSE MASSIMA
In questo studio, i ricercatori hanno anche analizzato i dati riferiti a un particolare gene (CYP1A2) che regola il metabolismo della caffeina (caffeina-GS). Hanno così scoperto che, una mutazione di questo gene è correlata a una capacità quattro volte più elevata di metabolizzare la caffeina. L’analisi incrociata dei dati, però, dimostra che anche in presenza di questa mutazione (che comporta un metabolismo più veloce della caffeina) il rischio cardio-vascolare rimane immutato, senza diminuire nei soggetti portatori del gene CYP1A2.

Da sapere che, nel 2015, l’European Food Safety Authority (EFSA) ha stabilito i limiti per la quantità di caffeina da assumere ogni giorno senza danno alla salute. Si tratta di una dose giornaliera che va dai 200 ai 400 mg, con una quantità limite che corrisponde a un massimo di 5 tazzine di caffè espresso al giorno.

BIBITE ZUCCHERATE E TUMORI: IL RISCHIO AUMENTA PROGRESSIVAMENTE

Sugar Drinks

Sono numerose le evidenze scientifiche che associano un eccessivo consumo di bibite zuccherate all’insorgere di patologie come obesità e diabete. Una nuova indagine collega l’assunzione di bevande dolci con l’aumento del rischio di ammalarsi di tumore. Lo dimostra uno studio condotto presso il Cress (Epidemiology and Statistics Research Center) dell’Université Sorbonne Paris Cité, pubblicato su British Medical Journal (luglio 2019).

LO STUDIO FRANCESE CHE HA ANALIZZATO IL CONSUMO DI BEVANDE
La ricerca francese attesta che anche una piccola quantità di bevande zuccherate consumate ogni giorno potrebbe aumentare il rischio di ammalarsi di tumore. L’indagine ha monitorato per cinque anni consecutivi le abitudini alimentari di più di 100mila adulti sani di nazionalità francese (di cui 79% donne e 21% uomini) con un’età media di circa 42 anni. Si tratta di un’indagine inclusa nell’ambito dello studio NutriNet-Santé, svolto dal 2009 al 2018. I partecipanti hanno compilato online due questionari alimentari, ideati per stimare il consumo abituale di alimenti e bevande.

Nello specifico, i ricercatori hanno concentrato l’attenzione sull’associazione tra assunzione di bevande zuccherate e rischio di sviluppare un tumore. Per bibite dolci sono state considerate bevande che contengono più del 5% di zucchero e comprendono: bibite gasate, succhi di frutta senza zuccheri aggiunti, soft drink, bibite energetiche, the e caffè con zucchero, nonché bibite dietetiche con dolcificanti artificiali (per cui però non sono stati trovati collegamenti con l’insorgere di tumori). I consumi di tali bevande, poi, sono stati messi a confronto con cartelle cliniche e dati di assicurazioni sanitarie.

IL RISCHIO AUMENTA PROGRESSIVAMENTE
Dai risultati emerge che, nel periodo di osservazione, sono stati diagnosticati oltre 2mila casi di cancro, di cui al seno (693), seguito da prostata (291) e colon-retto (166). In pratica, ogni mille persone incluse nello studio, 22 si sono ammalate di tumore. L’analisi dimostra che chi ha consumato circa due lattine di bevande zuccherate alla settimana (ovvero circa 100 ml al giorno) rischia 18% in più di ammalarsi di cancro. Inoltre, è stato rilevato che l’incidenza di tumori aumenta in chi beve più di 185 ml di bevande zuccherate al giorno, rispetto a chi invece beve poche bibite dolci (meno di 30 ml al giorno).

Si tratta di uno studio di tipo osservazionale che, però, non collega causa ed effetto. Sono, dunque, necessari ulteriori approfondimenti scientifici per indagare e stabilire il legame causa-effetto. Sembrerebbe, infatti, che una possibile causa sia da individuare negli elevati livelli di zuccheri nel sangue. In ogni caso, bisogna considerare che le persone che consumano abitualmente bibite zuccherate hanno anche abitudini poco salutari (come una dieta sbilanciata e ipercalorica, poca attività fisica, fumo etc.).

Le raccomandazioni degli esperti sono, dunque, sempre quello di avere uno stile di vita sano e seguire un regime alimentare corretto.

FONTI
Eloi Chazelas et Al. – Sugary drink consumption and risk of cancer: results from NutriNet-Santé prospective cohort – British Medical Journal (luglio 2019)

PERCHÉ DORMIRE POCO FA MALE AL CUORE

Woman insomnia

Sono svariati gli studi scientifici che dimostrano l’importanza del riposo notturno. Dormire poco e male, infatti, può compromettere la nostra salute sotto vari punti di vista. Se non si dorme abbastanza, per esempio, aumenta il rischio di infarto e ictus. In passato, la ricerca si era concentrata sui possibili danni al funzionamento del cuore. Un nuovo studio, pubblicato su Experimental Physiology della The Physological Society (aprile 2019), ne spiega il perché.

REGOLATORI FISIOLOGICI DEL SONNO
Un gruppo di ricercatori dell’University of Colorado di Boulder in USA (CU Boulder), guidati da Christopher DeSouza – professore di Fisiologia Integrativa – hanno scoperto le cause. Dai risultati di questa nuova indagine, emerge che gli individui che dormono meno di 7 ore per notte hanno livelli ematici più bassi di tre regolatori fisiologici. In particolare, si tratta di microRNA che influenzano l’espressione dei geni e che hanno un ruolo importante nella salute del sistema vascolare. Piccole molecole (in grado di sopprimere l’espressione genica di specifiche proteine cellulari) sulla cui funzione il mondo scientifico sta ponendo particolare attenzione, anche per quanto riguarda altre malattie, tra cui lo sviluppo di farmaci anti-tumorali.

Gli studiosi hanno analizzato i campioni di sangue prelevati da 24 adulti sani (uomini e donne) di età compresa tra 44 e 62 anni. Ai partecipanti sono stati fatti compilare dei questionari riguardanti le loro abitudini legate al sonno. I ricercatori hanno, così, scoperto che la metà dei partecipanti dormiva dalle 7 alle 8,5 ore a notte, l’altra metà, invece, dormiva da 5 a 6,8 ore ogni notte. Inoltre, sono stati misurati i livelli di nove microRNA, già associati a stato infiammatorio, funzione immunitaria e salute vascolare. I dati hanno evidenziato che chi dorme poco presenta livelli inferiori del 40-60% di miR-125A, miR-126 e miR-146a (molecole in grado di sopprimere proteine infiammatorie), rispetto a chi dorme abbastanza.

Si tratta del primo studio che ha indagato l’impatto che può avere il sonno sui tassi ematici dei microRNA. Uno studio precedente, invece, aveva dimostrato che uomini adulti che dormono meno di 6 ore a notte, presentano disfunzioni nelle cellule endoteliali (le cellule che rivestono i vasi sanguigni). Condizione che non permette una buona dilatazione delle arterie, compromettendo la funzione vascolare.

L’IMPORTANZA DI DORMIRE 8 ORE A NOTTE
Negli Stati Uniti, il 40% della popolazione dorme troppo poco, con una durata media di 6,8 ore a notte; nonostante le indicazioni dell’American Heart Association di dormirne almeno 7-9 ore. Il motivo per cui 7-8 ore è il numero “magico” di ore di sonno non è ancora ben chiaro. L’ipotesi più veritiera è che il numero minimo di sette ore di sonno per notte garantisce di mantenere i giusti livelli di importanti regolatori fisiologici, come i microRNA. I ricercatori del CU Boulder sono già al lavoro nei loro laboratori, con nuove indagini che permettano di determinare se è possibile ripristinare i livelli ematici di microRNA, con i benefici che ne conseguono, grazie al semplice ripristino di sane abitudini legate al sonno con una durata di 7-8 ore.

In ogni caso, utilizzando i livelli ematici di microRNA, come marker di patologie cardio-vascolari, è possibile individuare i fattori di rischio in pazienti che dormono poco, grazie all’impiego di test non-invasivi, che comportano un semplice prelievo di sangue, al posto dei metodi invasivi usati attualmente. Un nuovo meccanismo di indagine attraverso cui capire come il sonno influenza fisiologia generale e salute del cuore.

FONTI
Christopher DeSouza, Jamie G. Hijmans et Al. – Insufficient sleep is associated with a pro‐atherogenic circulating microRNA signature – Experimental Physiology (April 2019)
Why lack of sleep is bad for your heart | CU Boulder Today | University of Colorado Boulder

PROPRIETÀ E FONTI DI FOLATI

I folati sono la forma naturale della vitamina B9 presente negli alimenti. La sua forma ossidata, invece, è l’acido folico (acido monopteroiglutammico), molecola di sintesi contenuta negli integratori vitaminici e addizionata nei cibi arricchiti. La vitamina B9 è un composto idrosolubile molto importante per l’organismo umano, poiché partecipa a svariati processi fisiologici essenziali

A COSA SERVONO I FOLATI
I folati sono fondamentali per il nostro benessere sotto vari aspetti. La vitamina B9, per esempio, interviene nella sintesi di DNA e nella riparazione dei cromosomi; come pure partecipa alla sintesi di alcune proteine, tra cui l’emoglobina (e quindi indispensabile per la formazione dei globuli rossi). Inoltre, è indispensabile per la rigenerazione cellulare ed è importante anche per la salute delle mucose.

La vitamina B9 è essenziale per proliferazione e differenziazione dei tessuti, in particolare quelli embrionali. Ecco perché l’acido folico è indispensabile in caso di gravidanza. Soprattutto per la prevenzione di malformazioni congenite, come quella del tubo neuronale che senza vitamina B9 non si chiude (generando spina bifida, anencefalia, encefalocele etc.). Come pure durante l’allattamento, è necessario reintegrare i folati persi attraverso il latte. In genere, i medici, consigliano un’integrazione mirata di vitamina B9, a partire da un mese prima del concepimento fino al terzo mese di gravidanza.

La vitamina B9, inoltre, è utile nel prevenire altre problematiche di salute. Grazie alla sinergia con la vitamina B12, per esempio, agisce nel ridurre i livelli di omocisteina nel sangue, amminoacido i cui valori alti sono correlati al rischio di malattie cardio-vascolari, infarto e ictus. Infine, la vitamina B9 è importante anche per il buon funzionamento del sistema nervoso e l’efficienza dell’apparato riproduttivo.

COSA SUCCEDE IN CASO DI CARENZA DI FOLATI
Il fabbisogno giornaliero va da 0,4 a 0,6 mg al giorno, in base a età, sesso e condizioni. Per le donne che stanno programmando una gravidanza e durante la gestazione, la dose raccomandata è di 0,6 mg al giorno, durante l’allattamento è di 0,5 mg al giorno. Una riduzione dell’assorbimento di folati può essere dovuta dall’assunzione di alcuni farmaci, determinati stati di salute (diabete, celiachia etc.) e abuso di alcol. Se si segue una dieta varia ed equilibrata, si garantisce un introito di folati adeguato per l’organismo umano.

In caso di carenza, possono comparire vari sintomi: debolezza, affaticamento, pallore, anemia, sofferenza delle mucose, formicolii, mal di testa, irritabilità, disturbi neurologici (insonnia, depressione, problemi di memoria etc.). La mancanza di folati durante gravidanza e allattamento, comporta rischi gravi per il feto e il nascituro. In caso di carenza e/o di aumentato fabbisogno di vitamina B9, il medico può prescrivere integratori specifici di acido folico oppure alimenti arricchiti di folati.

IN QUALI ALIMENTI SI TROVANO I FOLATI
I folati si trovano soprattutto nelle verdure a foglia verde (come spinaci, rucola, broccoli, cavoletti di Bruxelles, verza, lattuga, asparagi etc.), ma anche rapa, senape fresca e pomodoro. Contengono folati anche i legumi (soprattutto fagioli dell’occhio e piselli) e i cereali integrali (riso, pasta e pane). Alimenti ricchi di folati sono germe di grano, lievito di birra e frutta secca (mandorle, noci, etc.). Tra la frutta che contiene folati troviamo avocado, papaia, melone, fragole, kiwi, arance e banana. Tra i prodotti di origine animale con un buon contenuto di folati, ci sono carne rossa, soprattutto frattaglie, uova e alcuni formaggi (da consumare occasionalmente e in porzioni limitate), crostacei (granchio) e pesce.

I folati sono composti termolabili (ovvero si degradano alle alte temperature) e idrosulubili (cioè si sciolgono in acqua), per cui è facile perderli durante la cottura degli alimenti per degradazione termica, da un lato, e scioglimento nell’acqua di cottura, dall’altro. La bollitura, dunque, è sconsigliata, poiché si rivela il metodo di cottura peggiore. Ecco perché l’indicazione dei nutrizionisti è di consumare le verdure crude, oppure appena spadellate e, ancor meglio, cotte al vapore (per cui si ha solo una piccola perdita pari al 10-15%), tagliando le verdure a tocchetti o in cimette, per ridurre i tempi di cottura al di sotto dei 10 minuti. Con questi semplici accorgimenti si preservano le proprietà nutrizionali e ci si assicura il massimo apporto di folati.

FONTI
Valter Longo – La dieta della longevità – Vallardi 2016
Valter Longo – Alla tavola della longevità – Vallardi 2017
Vitamine – Informazioni generali – EPICENTRO (data ultimo accesso 20.06.2019)
Vitamine – Studi – EPICENTRO (data ultimo accesso 20.06.2019)
Acido folico e folati – Informazioni generali – EPICENTRO (data ultimo accesso 20.06.2019)
LARN – Livelli di assunzione di riferimento per la popolazione italiana: VITAMINE. Fabbisogno medio (AR): valori su base giornaliera – Società Italiana di Nutrizione Umana-SINU, 2014 (data ultimo accesso 20.06.2019)
Vitamin and Mineral Supplement Fact Sheets – NIH National Institute of Health (data ultimo accesso 20.06.2019)
Folate – NIH National Institute of Health (data ultimo 20.06.2019)