PROPRIETÀ E FONTI DI VITAMINA D

La vitamina D è una sostanza liposolubile, ovvero si scioglie nei grassi. Detta anche calciferolo, è presente nel nostro organismo in due forme: ergocalciferolo (D2) e colecalciferolo (D3). La D2 è presente nei vegetali e viene sintetizzata dalle piante tramite la fotosintesi; la D3 è si trova nei prodotti animali ed è assimilata attraverso la pelle grazie all’esposizione ai raggi solari.

A COSA SERVE LA VITAMINA D

La vitamina D svolge funzioni vitali per il nostro organismo. La D3 favorisce la sintesi degli ormoni del “buon umore” (endorfine, serotonina e dopamina). Una sua carenza, infatti, può determinare malessere e abbassamento del tono dell’umore, fino a determinare stati depressivi. La vitamina D fa bene al cervello, poiché previene anche l’insorgere di malattie neuro-degenerative come Alzheimer e Parkinson.

 

La vitamina D è indispensabile per l’apparato scheletrico, poiché favorisce assorbimento e deposito di calcio e fosforo nelle ossa. Da un lato, contribuendo alla loro formazione, dall’altro le mantiene forti e sane, prevenendo fratture e osteoporosi. Inoltre, la vitamina D fa bene anche ai muscoli, poiché ne migliora la tonicità e conferisce forza. La vitamina D stimola il sistema immunitario, aiuta a prevenire le infezioni e abbassa l’infiammazione. Tanto che può avere un effetto preventivo anche su malattie autoimmuni. Alcuni studi sembrano addirittura dimostrare che la vitamina D abbia anche un effetto protettivo anti-tumorale.

Recenti studi attestano che la vitamina D è benefica per il sistema cardio-circolatorio, poiché contribuisce ad abbassare la pressione arteriosa e ridurre il rischio di patologie cardio-vascolari. Inoltre, è utile nel contrastare il diabete di tipo 2, dato che è coinvolta nella sintesi dell’insulina. Sembra poi che la vitamina D abbia anche un effetto dimagrante. Da un lato, favorendo la produzione di leptina, che dona sazietà dopo i pasti, attenuando il senso di fame. Dall’altro, abbassando la concentrazione di citochine, che causano l’aumento di cellule adipose. A livello cutaneo, poi, è utile all’epidermide.

QUALI SONO LE FONTI DI VITAMINA D

La principale fonte di vitamina D per il nostro organismo è la luce solare, che ne permette la sintesi grazie all’esposizione ai raggi UV. Si tratta della forma D3, assimilata attraverso l’epidermide (80%). È sufficiente esporre viso, braccia e mani alla luce diretta del sole e all’aperto, ma non attraverso vetri o finestre, che schermano i raggi. Il tempo di esposizione varia in base a fototipo, stagione e latitudine. In estate bastano 15 minuti al giorno; in inverno fino a 30 minuti. Le creme solari riducono l’efficacia dei raggi UV e, quindi, l’assimilazione di vitamina D, ma gli esperti consigliano di usare una protezione adeguata, soprattutto nelle ore centrali della giornata, per scongiurare problematiche anche gravi della pelle.

IN QUALI ALIMENTI SI TROVA LA VITAMINA D

La vitamina D viene introdotta nel nostro organismo anche attraverso il cibo, seppur in minima parte (20%). I prodotti di origine animale ne contengono di più sotto forma di D3. La vitamina D si trova principalmente nel pesce azzurro (salmone, tonno, sgombro, sardine, aringhe, acciughe etc.), ma anche in pesce spada, trota e molluschi. La vitamina D si trova nel tuorlo d’uovo e nei latticini (in particolare nello yogurt). Nei vegetali la vitamina D è presente nella forma D2. Cereali integrali, frutta secca (mandorle, noci), funghi (maitake, shitake, gallinacci, champignon e porcini), fagioli e verdure a foglia verde (spinaci, bietola, cicoria, cavolo nero) contengono vitamina D. Inoltre, in commercio si trovano latti vegetali addizionati di vitamina D: soia, cocco, mandorle e riso.

IL FABBISOGNO DI VITAMINA D

Il fabbisogno giornaliero di vitamina D dovrebbe essere di 15 mgc per bambini, adolescenti, adulti, in gravidanza e durante l’allattamento e di 20 mcg per gli adulti oltre i 75 anni. In caso di carenza, oltre a introdurla con l’alimentazione, anche con cibi addizionati e integratori come l’olio di fegato di merluzzo, è fondamentale assicurarsi un’adeguata esposizione al sole.

FONTI

LA DIETA MEDITERRANEA MIGLIORA LE FUNZIONI CEREBRALI

Le persone affette da Diabete di tipo 2 nel mondo sono sempre di più, a causa di diete squilibrate, stile di vita sedentario e obesità. Tutti fattori che portano a sviluppare la malattia diabetica. Diverse ricerche scientifiche, infatti, attestano che seguire modelli alimentari di tipo “occidentale”, ricchi di carni rosse, cereali raffinati, dolciumi e cibi trasformati porta ad aumentare il rischio di diabete di tipo 2. Mentre seguire regimi alimentari salutari, ricchi di verdure, ma poveri di carni rosse e latticini, invece, riduce il rischio di sviluppare il diabete. Un nuovo studio ha analizzato la relazione della dieta mediterranea con le funzioni cognitive nelle persone affette da diabete di tipo 2. Si tratta del Boston Puerto Rican Health Study, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Diabetes Care (maggio 2019).

DIETA MEDITERRANEA, DIABETE E CAPACITÀ COGNITIVA

Sono svariati gli studi scientifici in cui è stato analizzato il collegamento della dieta mediterranea con la salute di cuore e cervello, oltre che la minore incidenza di diabete di tipo 2. Recentemente, un gruppo di ricercatori statunitensi dell’Harvard TH Chan School of Public Health di Boston ha concentrato le indagini sui benefici cognitivi che la dieta mediterranea può generare, in modo differente, su diabetici e non-diabetici.

 

Si parte dal presupposto che una dieta mediterranea, costituita da largo consumo di verdura, frutta, cereali integrali, legumi, pesce e olii ricchi di grassi sani, rappresenta un regime alimentare benefico per tutti, indipendentemente da essere affetti o meno da diabete. I cibi caratteristici della dieta mediterranea, infatti, sono ricchi di vitamine e minerali, antiossidanti che riducono infiammazione e ossidazione delle cellule neuronali e, quindi, fondamentali per il sostegno della funzione cerebrale. Inoltre, nei diabetici seguire una dieta mediterranea, oltre a tenere sotto controllo i livelli di glicemia, può migliorare le funzioni cognitive.

 

ANALISI DI ABITUDINI ALIMENTARI IN RELAZIONE A SALUTE DEL CERVELLO

I ricercatori hanno monitorato per 2 anni 913 individui, di cui il 46% era affetto da diabete di tipo 2. Sono state prese in considerazione le abitudini alimentari e, tramite specifici test attitudinali, sono state analizzate memoria, funzione cognitiva e funzione esecutiva. Per quanto riguarda le valutazioni dietetiche, gli studiosi hanno attribuito dei punteggi al tipo di regime alimentare seguito dai partecipanti, in relazione al consumo di cibi tipici della dieta mediterranea e altri due programmi alimentari per la salute del cuore, tra cui la dieta DASH (Dietary Approaches to Stop Hypertension), consigliata dall’American Heart Association, anch’essa ricca di frutta, verdura, cereali integrali e latticini magri, con moderate quantità di legumi, frutta secca, semi oleosi, pesce e carni bianche, limitando carne rossa, cibi fritti e dolciumi.

Dall’analisi dei dati risulta che nei soggetti sani (senza diabete) una stretta aderenza nel seguire la dieta mediterranea è stata collegata a miglioramenti nella memoria, ma non a variazioni nella funzione cognitiva. Nei soggetti diabetici, invece, l’aderenza alla dieta mediterranea ha risvolti positivi su una vasta gamma di funzioni nella salute cerebrale a livello generale. In particolare, chi aveva seguito strettamente il regime alimentare mediterraneo, ha avuto miglioramenti e benefici a livello della funzione cognitiva, nel riconoscimento delle parole e abilità nel clock-drawing test (utilizzato per identificare segni di problematiche neurologiche, come forme di demenza e morbo di Alzheimer).

ANCHE IL CONTROLLO DELLA GLICEMIA È IMPORTANTE PER IL CERVELLO

Inoltre, tra i partecipanti affetti da diabete, i benefici sul cervello, grazie alla dieta mediterranea, sono stati osservati nei soggetti che avevano livelli di glicemia stabili, fin dall’inizio dello studio oppure che hanno avuto miglioramenti di questo parametro ematico nel corso dei 2 anni dell’indagine. Mentre non sono stati rilevati benefici a livello neuronale negli individui diabetici che non avevano i livelli di glucosio sotto controllo. Gli esperti concludono dicendo che sia l’aderenza alla dieta mediterranea sia il controllo della glicemia, porta miglioramenti della funziona cognitiva nei soggetti diabetici.

FONTI

Mattei J. et Al. – The Mediterranean Diet and 2-Year Change in Cognitive Function by Status of Type 2 Diabetes and Glycemic Control – Diabetes Care (May 2019)

PROPRIETÀ E FONTI DI OMEGA 3

omega 3

Gli acidi grassi polinsaturi a catena lunga sono suddivisi in due categorie: omega 3 e omega 6. Classificati in base alla loro struttura chimica, rispetto alla posizione dell’ultimo doppio legame: omega 3 in corrispondenza del terzo atomo di carbonio o omega 6 sul sesto atomo di carbonio.

COSA SONO GLI OMEGA 3

Si definiscono acidi grassi essenziali dato che il nostro organismo non è in grado di sintetizzarli, ma sono necessari per importanti funzioni fisiologiche e, quindi, vanno introdotti con l’alimentazione. Omega 3 e omega 6 hanno ciascuno un metabolismo indipendente, con vie biochimiche distinte, poiché non possono essere trasformati l’uno nell’altro. I precursori degli acidi grassi essenziali sono rispettivamente: acido alpha-linoleico (ALA) per gli omega 3 e acido linoleico (LA) per gli omega 6. Il loro meccanismo di azione si fonda sulla trasformazione in sostanze biologicamente attive, gli eicosanoidi, distinti a loro volta in tre categorie di molecole: leucotrieni, trombossani e prostaglandine. I principali derivati dell’acido alpha-linoleico sono EPA (acido eico-penta-enoico) e DHA (acido doco-saesa-enoico).

QUALI SONO LE FUNZIONI DEGLI OMEGA 3

Gli omega 3 intervengono in svariate funzioni fisiologiche, con effetti positivi su diversi apparati corporei. Gli acidi grassi essenziali, per esempio, sono componenti fondamentali delle membrane plasmatiche, tanto che ne favoriscono fluidità ed elasticità, con un miglioramento della funzione endoteliale. Ecco perché sono importanti per il benessere della pelle, soprattutto in caso di problematiche dermatologiche, come dermatiti e psoriasi. Inoltre, svolgono un ruolo importante anche per la salute della retina e dell’apparato riproduttivo. Gli omega 3, inoltre, sono indispensabili per lo sviluppo del sistema nervoso nell’embrione e durante la crescita, come pure garantiscono il funzionamento cerebrale in generale. Tanto che sono utili nel ridurre l’insorgenza di stati depressivi e nella prevenzione di demenze senili lievi e morbo di Alzheimer.

A livello cardio-vascolare, hanno effetti benefici nel regolare pressione arteriosa e ritmi cardiaci, oltre che conferire elasticità alle pareti dei vasi sanguigni. Inoltre, svolgono un’azione di anti-aggregazione piastrinica, riducendo la formazione di coaguli a causa di placche aterosclerotiche, diminuendo il rischio di trombosi. Inoltre limitano i livelli di trigliceridi e colesterolo cattivo (LDL), con effetto preventivo nei confronti di patologie cardio-vascolari. Gli omega 3, infine, sono particolarmente utili nel contrastare stati infiammatori e malattie autoimmuni come artrite reumatoide, colite ulcerosa e morbo di Chron. Si è visto, inoltre, che sono implicati anche nel ridurre il rischio di altre patologie croniche, come diabete e tumori.

IN QUALI ALIMENTI SI TROVANO GLI OMEGA 3

I vegetali contengono principalmente omega 3 ALA, che si trovano soprattutto in frutta secca (come noci, mandorle, anacardi etc.), semi oleosi (soprattutto semi di lino, chia, girasole e zucca) e nei rispettivi oli vegetali (particolarmente concentrati nell’olio di semi di lino), oltre che nell’olio di soia e nell’olio extra-vergine di oliva, rigorosamente spremuti a freddo e da assumere a crudo. Altre fonti vegetali di omega 3 sono legumi (in particolare, soia, fagioli cannellini e dell’occhio) e bevande vegetali (mandorla e avena). 

Gli alimenti di origine animale, invece, contengono omega 3 a catena lunga EPA e DHA. In particolare, si trovano concentrati nel grasso dei pesci azzurri che vivono nei mari freddi (aringa, halibut, sgombro, merluzzo, salmone, sardine, tonno, pesce spada, acciughe, sogliola, platessa etc.) e anche pesci di lago e torrenti come trota e coregono. Un buon contenuto di acidi grassi è presente anche in molluschi (cozze, ostriche, capesante, polpo) e crostacei (aragosta, gamberi).

COSA SUCCEDE IN CASO DI CARENZA DI OMEGA 3

Il fabbisogno giornaliero di EPA e DHA è di 250 mg al giorno. I sintomi legati a un deficit di acidi grassi essenziali sono vari. Nei bambini possono determinare problemi di crescita, iperattività e disturbi comportamentali, fino a Disturbo da Deficit di Attenzione (ADHD). Negli adulti si rilevano eruzioni cutanee, stati infiammatori, disturbi cardio-vascolari e altre malattie cronico-degenerative. In caso di carenza, è consigliato assumere integratori alimentari, sotto forma di gellule che contengono olio di fegato di merluzzo, oppure olio di sardine o salmone, sotto controllo medico o dietro indicazione di un nutrizionista.

>>> Per ulteriori approfondimenti scientifici, legati a un corretto stile di vita e a sane abitudini alimentari, visitate il sito della FONDAZIONE VALTER LONGO, dove trovate anche diverse pubblicazioni di studi clinici.

 

FONTI

LA FINE DELL’ANNO SCOLASTICO TRA SFIDE E OPPORTUNITÀ PER LA SALUTE DEGLI STUDENTI

fine scuola

Giugno 2021. La Fondazione Valter Longo ONLUS ripercorre le attività realizzate per le scuole italiane durante l’anno scolastico 2020-1 e delinea nuovi obiettivi e progetti futuri.

Scuola e pandemia: dati sul calo della salute fisica e mentale degli studenti 

La pandemia Covid-19 ha influenzato profondamente tutti gli aspetti della vita degli adolescenti, dalla vita scolastica alle interazioni sociali e dall’alimentazione all’attività fisica. Secondo i dati UNESCO e numerose nuove ricerche, la chiusura delle scuole ha avuto molteplici conseguenze negative, tra cui minori opportunità di crescita personale, maggiore stress e nuove sfide presentate dal passaggio alla didattica a distanza, dall’isolamento sociale e dal peggioramento delle abitudini alimentari.

Negli Stati Uniti, la didattica online è associata a un deterioramento della salute mentale degli studenti e alla diffusione dei disturbi alimentari: da marzo 2020, la National Eating Disorders Association help line ha registrato un aumento del 40% delle richieste di assistenza, spesso da parte di ragazzi di età compresa tra i 13 e i 17 anni. Molti studenti hanno riportato episodi di fame emotiva causata da noia, stress e un continuo accesso al cibo dato dal trascorrere la giornata tra le mura di casa1. In aggiunta, numerosi ragazzi che precedentemente impiegavano il loro tempo in attività scolastiche ed extracurriculari, costretti nella dimensione domestica, hanno concentrato i loro sforzi verso il raggiungimento di obiettivi legati all’apparenza estetica, spesso tramite comportamenti non salutari2. Questo fenomeno è rafforzato dalla maggiore quantità di tempo che i giovani trascorrono sui social networks, principali promotori di canoni estetici difficilmente raggiungibili e spesso irrealistici, che causano problemi di insoddisfazione con la propria apparenza, specialmente per le giovani ragazze3.

In Europa, per molte famiglie è aumentato il rischio di povertà legato alla perdita del lavoro, che spesso risulta in una minore possibilità di accesso a materie prime di qualità e in una nutrizione scorretta. I sintomi depressivi e d’ansia degli studenti sono in aumento in molti paesi: in Italia, oltre all’incertezza data dall’emergenza sanitaria in corso, le cause principali sono le condizioni abitative di molti adolescenti, spesso prive di spazi idonei per la didattica a distanza, e l’impossibilità di praticare attività motoria, fondamentale per una migliore salute mentale. I sintomi più riportati sono irritabilità, disturbi del sonno e segni di regressione nei bambini di età inferiore ai 6 anni. Infine, molti studenti dichiarano di avere problemi legati a capacità di studiare, stanchezza, preoccupazione e solitudine. A fronte di questi dati, risulta quindi fondamentale trovare un equilibrio tra la salute pubblica e la salute fisica e mentale degli studenti.

La risposta della Fondazione: l’iniziativa “Educazione a una longevità sana”

Fondazione Valter Longo ONLUS ha individuato una rinnovata necessità di supporto agli studenti nell’ambito italiano. Infatti, le conseguenze dalla pandemia vanno affrontate tempestivamente e con un’azione decisa, per evitare che i suoi effetti compromettano la salute dei ragazzi nel lungo termine. Mantenendo quando possibile i progetti già attivi in ambito scolastico, quali la formazione offerta a docenti e famiglie e i servizi di consulenza per la ristorazione scolastica, la Fondazione è intervenuta reinventando il formato dei seminari in presenza nelle classi utilizzato in passato. È stata dunque inaugurata una prima serie di webinar offerti gratuitamente a docenti, studenti, e famiglie: “Edugevity – Educazione, longevità e salute a scuola” per l’anno scolastico 2020-21, volta a offrire un supporto all’universo scolastico in un periodo critico che ha comportato l’interruzione della consueta attività in presenza.

Nell’ottobre 2020 la Fondazione ha dato vita al primo webinar “SCHOOLGEVITY – La salute e la longevità a scuola”, offrendo una panoramica sull’evoluzione del contagio Covid-19 in Italia e norme igienico-sanitarie fondamentali per prevenire la diffusione del virus, oltre a regole di base per rafforzare il sistema immunitario attraverso l’alimentazione. Il secondo appuntamento “BENE! – benessere, Educazione, Nutrizione Esercizio fisico a scuola” ha visto come protagonisti gli studenti, in quanto è stata analizzata la loro giornata tipo e sono stati forniti consigli riguardo come stare bene sia tramite una bilanciata alimentazione ed esercizio fisico con la realizzazione di una pratica quotidiana online presente sul canale Youtube della Fondazione. L’incontro “LONGEVITY CHEF – Come mangiare bene a scuola e a casa per proteggersi” è stato volto a fornire indicazioni altamente pratiche riguardo quali prodotti preferire per preparare una merenda e pranzo sani e gustosi, oltre a una ricetta per un pranzo sano e longevo realizzata dagli studenti dell’Istituto Alberghiero Beccari di Torino

Vista la risposta positiva ai webinar del progetto Edugevity, a marzo 2021 la Fondazione ha lanciato una nuova serie di incontri per il 2021-2022, intitolata “ONE Obesità, Nutrizione, Esercizio Fisico”, focalizzata sulle tematiche di obesità e sovrappeso, disturbi del comportamento alimentare, nutrizione ed esercizio fisico. I primi due incontri, “La salute prima di tutto Ragazzi, sovrappeso e obesità” e “I Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA)”, sono stati anticipati a Marzo 2021, in occasione della Giornata Mondiale dell’Obesità e della Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla dedicata ai disturbi alimentari. Tali ricorrenze sono infatti diventate il punto di partenza per un dibattito costruttivo su questi temi, che hanno toccato un numero sempre maggiore di ragazzi durante la pandemia.

Tutti i webinar sono stati ideati appositamente per favorire il coinvolgimento delle classi, grazie a una modalità interattiva che ha promosso la partecipazione degli studenti e dei docenti e alla presenza di numerosi ospiti altamente preparati, tra cui medici, nutrizionisti, psicologi ed esperti di esercizio fisico, per offrire punti di riferimento autorevoli ed altamente affidabili.

Tra questi vi sono: la Dottoressa Romina Cervigni, Responsabile Scientifico della Fondazione, e il suo team di medici e nutrizionisti; il Professor Matteo Bassetti, Direttore Clinica Malattie Infettive dell’Ospedale Policlinico San Martino di Genova e Presidente della Società Italiana di Terapia Antiinfettiva; la Dottoressa Annalisa Arrighi osteopata, PhD in scienze biomediche delle attività motorie e collaboratrice dell’Ospedale Pediatrico Gaslini e Ospedale San Martino di Genova; la Dottoressa Claudia Romeo, medico specialista in pediatria; Claudia Paltrinieri, presidente dell’associazione Foodinsider -Osservatorio Mense Scolastiche; Elena Uberti Psicologa-psicoterapeuta e psicologa dello Sport per diverse Federazioni e centri Olimpici; Giulia Gandino psicologa specializzata in benessere ed Alessia Saini psicologa con un interesse per i Disturbi del comportamento alimentare, entrambe esperte di  MIndful Eating; il Dottor Marcello Morale, Psicologo e Psicoterapeuta esperto nel trattamento dei Disturbi del comportamento alimentare.

Risultati ottenuti e prossimi passi

I webinar organizzati dalla Fondazione sono stati accolti con crescente entusiasmo e con un’adesione sempre maggiore da parte degli studenti e dei docenti dei licei e istituti tecnici in tutta Italia: i webinar del progetto Edugevity hanno coinvolto circa 1700 ragazzi in totale, mentre i primi due appuntamenti della serie ONE hanno permesso rispettivamente a 600 e 1100 studenti e docenti di discutere i temi di obesità e sovrappeso e dei disturbi del comportamento alimentare. Se il primo webinar nell’ottobre 2020 ha accolto 110 studenti, l’attenzione e l’interesse sono cresciuti in maniera esponenziale nel corso dell’anno scolastico giungendo a una presenza di 1400 studenti e docenti all’ultimo webinar, Longevity Chef, del maggio 2021. Questi dati sono da intendersi come indicativi della crescente necessità di un supporto riguardo gli argomenti trattati da parte dei ragazzi, docenti e famiglie, tanto che la Fondazione riceve costantemente richieste di collaborazione da parte dell’universo scolastico a cui si impegna ad offrire sostegno.

 

Gli incontri hanno fornito ai ragazzi, ai docenti e alle famiglie un quadro della situazione italiana e globale in termini delle sfide affrontate in ambito scolastico durante la pandemia e del rapporto dei giovani con le scelte alimentari. I ragazzi sono diventati dei veri e propri “attivisti della salute”, acquisendo consapevolezza di quanto i loro comportamenti nella vita di tutti i giorni, dalla scelta dei prodotti al supermercato alla messa in pratica di semplici esercizi fisici, possano fare la differenza per la loro salute e longevità.

 

La Fondazione continuerà a favorire uno stile di vita sano all’interno dell’universo scolastico con i nuovi appuntamenti del progetto ONE. Al rientro dalle vacanze estive, i ragazzi assisteranno al webinar “Il cibo, un nostro alleato”, in cui riceveranno consigli su come vivere meglio, con più energie e prevenire malattie e obesità tramite scelte alimentari consapevoli. La Fondazione accompagnerà gli studenti nei mesi successivi con due incontri alla scoperta dello sport quale strumento per rafforzarsi e proteggersi attraverso la sessione “Esercizio fisico – Lo scudo magico” e del legame tra alimentazione e salute mentale con il webinar “Nei meandri della mente – Mens sana in corpore sano”. Infine, “ONE – Back to school with New Year’s Resolutions” permetterà a ragazzi e docenti di riunirsi ancora una volta a gennaio 2022, per tirare le somme dell’anno precedente e mettere a punto una strategia della longevità da implementare nel nuovo anno, alla luce degli insegnamenti derivanti dal lavoro precedente. I ragazzi saranno anche chiamati a diventare “portavoce” della salute e sostenibilità nelle loro comunità e a mettersi in gioco con nuovi concorsi, che permetteranno di vincere dei premi mettendo in pratica le lezioni apprese e dimostrando curiosità e creatività.

 

La Fondazione augura a tutti i ragazzi, docenti e famiglie di trascorrere un’estate serena, auspicando che anche nei mesi estivi i più giovani continuino ad adottare uno stile di vita corretto e si impegnino a diffondere nelle loro comunità abitudini volte a migliorare la salute e la longevità. Vi ringraziamo per l’interesse e l’entusiasmo dimostrato e vi aspettiamo a settembre con tante nuove iniziative!

 

 

Articolo a cura di Cristina Villa, Giulia Carra, Anita Ciarlo e Ilaria Giabbani

 

Note 

1Dr Accurso, Direttore Clinico del programma per i disturbi alimentari presso the University of California, San Francisco.

2 Dr Kelly Bhatnagar, Psicologa e Co-fondatrice del Center for Emotional Wellness in Beachwood, Ohio.

3 Dr Austin, Professore presso la T.H. Chan School of Public Health e ricercatore presso la Division of Adolescent and Young Adult Medicine at Boston Children’s Hospital.

Fonti

1) Damour, Lisa. “Eating Disorders in Teens have ‘Exploded’ in the Pandemic”. The New York Times. 28 aprile 2021.

2) Fornili et al. “Psychological distress in the academic population and its association with socio-demographic and lifestyle characteristics during COVID-19 pandemic lockdown: Results from a large multicenter Italian study”. Università di Pisa. 10 marzo 2021.

3) “Growing up in lockdown: Europe’s children in the age of COVID-19”. 2020 Eurochild Semester Report.

4) “In Italia circa 34 mila studenti delle superiori rischiano di abbandonare la scuola”. VITA. 05 gennaio 2021.

5) Longo, Rita. “Effetti della pandemia di COVID-19 sulla salute mentale dei bambini e degli adolescenti”. Dors – Centro Regionale di Documentazione per la Promozione della Salute. 20 febbraio 2021.

6) “Scuola e Covid: per il 28% degli adolescenti un compagno di classe ha smesso di frequentare la scuola”. Save the Children. 05 gennaio 2021.

I PESTICIDI NEL CIBO AUMENTANO IL RISCHIO DI CANCRO AL FEGATO

PESTICIDI E CANCRO AL FEGATO

La mortalità per cancro al fegato è al secondo posto al mondo, dopo i decessi per tumore al polmone. Dalla metà degli anni ’80 a oggi i decessi per carcinoma epatocellulare sono addirittura raddoppiati. Lo rivela il report dell’American Cancer Society, pubblicato sulla rivista scientifica A Cancer Journal of Clinician (aprile 2017). Le cause di questo aumento sono svariate, tra cui elevati tassi di infezione da epatite C, aumento del consumo di alcol, incremento di obesità, nonché assistenza sanitaria carente. Quello che, però, non viene esposto in questo report è l’associazione, ormai largamente dimostrata, tra incidenza di tumore al fegato e uso di pesticidi ed erbicidi in agricoltura, nonché presenti nel cibo.

 

NECESSARIO INDIVIDUARE QUALI SIANO I LIVELLI PERICOLOSI

Il legame tra esposizione ai pesticidi e sviluppo di cancro al fegato, invece, è stato preso in esame in un’ampia meta-analisi di 16 studi scientifici differenti che ha visto il coinvolgimento di ben 480mila partecipanti (arruolati in Europa, Asia e Stati Uniti). L’analisi dei dati ha rilevato che l’esposizione ai pesticidi aumenta il rischio di sviluppare il tumore al fegato fino al 71%.

 

Mentre le altre cause di cancro al fegato (epatite C e alcolismo in particolare) sono ben documentate dalla ricerca scientifica, rimane importante riconoscere il ruolo dei pesticidi nello sviluppo di questo tipo di tumore. Negli studi inclusi nella meta-analisi, però, non è stato possibile determinare esattamente quali siano i pesticidi responsabili dell’aumento di sviluppo di cancro al fegato, né tantomeno quali debbano essere i livelli limite per ridurne l’incidenza.

 

L’USO DI PESTICIDI È LEGATO ALLA COMPARSA DI DIVERSE MALATTIE

Al momento è documentato che l’impiego di pesticidi e messo in relazione con lo sviluppo di diverse malattie croniche. A partire da altre tipologie di cancro (oltre quello al fegato): tumore a pancreas, vescica, prostata, cervello, ossa e leucemia. Patologie neurodegenerative come Alzheimer e Parkinson, dovuti entrambe a esposizione da pesticidi e organofosfati il secondo. Asma, soprattutto in caso di esposizione diretta ai pesticidi. Disfunzioni del sistema endocrino, con alterazioni ormonali, problematiche riproduttive e anomalie nello sviluppo. Problemi di fertilità sia nell’uomo sia nella donna. Difetti della nascita (come per esempio malformazioni congenite) e problemi di sviluppo (che coinvolgono organi e cervello, fino a determinare autismo), questo soprattutto nelle comunità agricole rurali dove si fa uso di pesticidi.

 

In ogni caso, l’indicazione degli esperti è di ridurre il più possibile alimenti industriali e prodotti provenienti dall’agricoltura industrializzata, prediligendo materie prime, frutta e verdura da produttori locali, di origine biologica, non trattati e privi di pesticidi.

FONTI

  • Report looks at liver cancer, fastest-growing cause of cancer deaths in US – Significant disparities persist despite availability of effective interventions – American Cancer Society
  • Farhad Islami et al. – Disparities in liver cancer occurrence in the United States by race/ethnicity and stateCA: A Cancer Journal for Clinicians (June, 2017)

LO STRESS DA LAVORO, NELLE DONNE, PUÒ FAVORIRE LA COMPARSA DI DIABETE

stress da lavoro

Un impegno di lavoro molto stancante dal punto di vista mentale, per il sesso femminile, può comportare l’aumento del rischio di diabete di tipo 2. Lo svela uno studio condotto presso il CESP (Centre de Recherche en Epidémiologie et Santé des Populations) dell’Inserm (Institut national de la santé e de la recherche médicale) di Parigi. I risultati dell’indagine sono stati pubblicati sulla rivista scientifica European Journal of Endocrinology (aprile 2019).

 

IL RISCHIO DI DIABETE AUMENTA ANCHE NELLE DONNE NORMOPESO

Lo studio in questione è stato portato avanti da un gruppo di ricercatori francesi su un ampio campione di oltre 70mila donne, monitorate nel corso di un lungo periodo di osservazione di oltre 20 anni (dal 1992 al 2014). Gli esperti hanno cercato di trovare l’esistenza di una correlazione tra un lavoro “mentalmente molto stancante” e il rischio di sviluppare diabete di tipo 2. Il 75% delle donne incluse nello studio erano insegnanti, di cui il 24% ha dichiarato di svolgere un lavoro mentalmente estenuante. È risultato che le donne “lavoratrici con impegno mentale elevato” hanno registrato un rischio di diabete maggiore del 21%, rispetto alle donne che svolgevano un lavoro “poco o per nulla stancante mentalmente”.

 

Ovvero, nel periodo di osservazione, 4.187 donne (su un totale di 73.517) hanno sviluppato diabete di tipo 2, con prevalenza particolarmente elevata tra quelle che svolgono lavori stressanti dal punto di vista mentale. Associazione risultata indipendentemente dallo stile di vita (abitudini alimentari sane / non sane, fumatrici / non fumatrici etc.) e dai classici fattori di rischio per il diabete (sedentarietà, sovrappeso, obesità, colesterolo alto, ipertensione, problematiche cardiovascolari, età superiore ai 45 anni, familiarità nel diabete). Mentre è stata trovata un’interazione tra stress da lavoro mentale e Indice di Massa Corporeo molto significativa, con un’associazione più forte nelle donne normopeso rispetto a quelle in sovrappeso.

 

STUDI FUTURI PER TROVARE NUOVE CURE

Da questo studio osservazionale risulta che altri fattori, di tipo psicologico, come la depressione e lo stress da lavoro possono svolgere un ruolo nell’aumentare il rischio di ammalarsi di diabete di tipo 2. Da qui il monito degli esperti è di dare un maggiore sostegno per donne che svolgono lavori molto impegnativi dal punto di vista mentale. Il prossimo obiettivo dei ricercatori, inoltre, è di allargare lo studio, analizzando l’effetto di un lavoro mentalmente stressante e impegnativo in soggetti che sono già affetti da diabete di tipo 2, con l’intento di trovare nuove possibilità di cura e gestione della malattia diabetica stessa.

 

 

FONTI

Guy Fagherazzi et al. – Mentally tiring work and type 2 diabetes in women: a 22-year follow-up study – European Journal of Endocrinology (April 2019)

SCONTI PER FRUTTA E VERDURA, INVECE DI FARMACI, NELLE RICETTE DEL MEDICO

Il futuro che vorremmo: prescrizioni mediche con frutta e verdura, rimborsate dal servizio sanitario nazionale, al posto dei farmaci, per la prevenzione delle malattie e per garantirci una salute ottimale. Questa è l’ipotesi messa al vaglio, attraverso una simulazione reale, da un team di ricercatori statunitensi.

MANGIARE MALE COSTA CARO IN TERMINI DI SALUTE E DI SPESA PUBBLICA
Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Plos Medicine (marzo 2019), ha previsto l’introduzione di una ricetta medica, comprensiva di sconto, per acquistare frutta verdura e altri cibi sani, con l’intento di incoraggiare le persone ad alimentarsi in modo più corretto, con un risvolto diretto nel migliorare la salute e uno indiretto nel generare risparmi fino a 100 miliardi di dollari per il sistema sanitario nazionale.

La spesa sanitaria è in continua crescita a livello planetario, a causa soprattutto di malattie cardio-vascolari e diabete, patologie su cui si può agire a livello preventivo seguendo un’alimentazione sana a base di prodotti naturali. In Italia, per esempio, più del 5% della popolazione soffre di diabete e le malattie cardio-vascolari sono in continuo aumento, tanto da rappresentare la principale causa di morte, con il triste primato del 44% di decessi su tutto il territorio italiano. Anche la spesa sanitaria pubblica ne paga le conseguenze. Per citare qualche dato: nel 2000, i farmaci per la cura di patologie cardio-vascolari hanno rappresentato il 23,5% della spesa destinata ai medicinali. Un dato enorme, se si pensa che potremmo agire con la dieta.

CON L’ALIMENTAZIONE SANA SI VIVE MEGLIO E SI RISPARMIA
Ecco che due ricercatori americani, Yujin Lee e Dariush Mozaffarian, insieme ad altri colleghi, hanno pensato di ideare una simulazione che avesse l’obiettivo di promuovere uno stile alimentare più salutare e, al tempo stesso, ridurre le spese sanitarie, grazie all’introduzione di incentivi economici sull’acquisto di prodotti sani. Partendo dal presupposto che negli USA 1 cittadino su 3 è coperto da un’assicurazione sanitaria (Medicare e Medicaid, che sono i due programmi più grandi a livello federale negli Stati Uniti), sono stati analizzati due scenari. Il primo, ha previsto prescrizioni mediche con uno sconto del 30% sull’acquisto di frutta e verdura. Il secondo, prevedeva sconti anche per altri alimenti salutari, come prodotti integrali, frutta secca, semi oleosi, pesce e olii vegetali, oltre che frutta e verdura.

Secondo l’analisi dei dati (incrociati considerando età, etnia, livello di educazione e reddito) il primo programma potrebbe prevenire 1,93 milioni di eventi cardio-vascolari, evitare 350mila morti e sarebbe in grado di far risparmiare oltre 40 milioni di dollari al sistema sanitario. Con il secondo programma, invece, ci sarebbe ulteriori benefici: 3,28 milioni di eventi cardio-vascolari in meno, 620mila morti evitate, e un enorme risparmio sulla spesa sanitaria di 100 miliardi di dollari. Promuovere un’alimentazione sana grazie a questi sconti porterebbe dunque benefici effettivi sia in termini di salute sia di conti economici.

FONTI

Yujin Lee, Dariush Mozaffarian et Al. – Cost-effectiveness of financial incentives for improving diet and health through Medicare and Medicaid: A microsimulation study – Plos Medicine March 19, 2019

OLIO D’OLIVA, ELISIR DI LUNGA VITA

La dieta mediterranea è spesso al centro di studi scientifici che ne attestano l’effetto protettivo nei confronti di diverse malattie croniche legate all’invecchiamento. In particolare, sarebbe l’abbondante uso di olio d’oliva a determinare queste proprietà. L’olio d’oliva, infatti, contiene alcune sostanze particolarmente benefiche per la nostra salute. Il suo gusto gradevole, poi, lo rende appetibile e adatto a tutti.

GLI EFFETTI BENEFICI DELL’OLIO D’OLIVA PER LA SALUTE
Il consumo quotidiano di olio extra-vergine d’oliva (evo) aiuta a contrastare l’innalzamento della glicemia post-pranzo, soprattutto in caso di assunzione di cibi a elevato indice glicemico, nelle persone affette da diabete mellito di tipo 1. È l’acido oleico contenuto nell’olio d’oliva a svolgere un ruolo protettivo, riducendo la glicemia a digiuno e la sensibilità all’insulina, migliorando così anche la circolazione sanguigna. E ciò è attestato anche nei soggetti sani.

Un altro effetto benefico del consumo di olio d’oliva è strettamente connesso con la prevenzione delle malattie cardio-vascolari. Nello specifico, la presenza di acidi grassi monoinsaturi agisce migliorando i processi di biosintesi e metabolismo del colesterolo. Si riducono i livelli di colesterolo totale, per effetto di una diminuzione di colesterolo cattivo LDL, grazie all’acido oleico da un lato, e all’aumento dei livelli di colesterolo buono HDL, per la presenza di polifenoli dall’altro. In tal modo, si minimizza la formazione di placche aterosclerotiche, causa dell’ostruzione dei vasi sanguigni, che possono determinare l’insorgere di problematiche cardio-circolatorie, fino a provocare ictus o infarto. Acido oleico, polifenoli e vitamina E contenuti nell’olio evo, oltre a proteggere le arterie dal danno ossidativo e dall’aterogenesi, inducono una diminuzione della pressione sanguigna. Tutto comprovato da ricerche scientifiche.

Altri studi attestano l’effetto protettivo dell’olio d’oliva, in particolare quello extra-vergine, nei confronti dei tumori, poiché contiene diverse sostanze in grado di innescare la morte delle cellule neoplasiche. Acido oleico, squalene e polifenoli, per esempio, agiscono con un effetto anti-tumorale nella prevenzione di cancro a seno e ovaio. I polifenoli contenuti nell’olio d’oliva svolgono un’efficace azione protettiva anche nei confronti del tumore al colon-retto. Altre indagini hanno messo in relazione l’assunzione di olio evo e una buona densità ossea, con un ruolo protettivo nei confronti dell’osteoporosi. Infine, recenti ricerche scientifiche attestano che l’olio d’oliva svolge un effetto protettivo nei confronti del declino cognitivo.

OLIO D’OLIVA, DIGESTIONE E INTESTINO
L’olio extra-vergine d’oliva è l’olio vegetale più digeribile, grazie al suo elevato contenuto di acidi grassi monoinsaturi. L’elevata concentrazione di acido oleico (65-80%) favorisce la riduzione della secrezione gastrica, con azione preventiva e curativa di gastrite e ulcere. L’acido oleico favorisce la digestione dei grassi, per l’azione stimolante sulla cistifellea. La sua struttura chimica, poi, lo rende fluido facilitando il passaggio lungo la mucosa intestinale, con effetto blandamente lassativo (se assunto a stomaco vuoto). A livello dell’intestino, inoltre, i polifenoli dell’olio d’oliva svolgono un’importante attività anti-microbica.

LA GIUSTA QUANTITÀ DI OLIO D’OLIVA
Secondo gli esperti, la dose di olio evo indicata per la salute è superiore ai 10-20 grammi al giorno, pari a uno o due cucchiai da cucina. Avendo un punto di fumo alto (180-210 °C) l’olio evo si presta anche alla cottura, ma la degradazione dei suoi composti bioattivi può portare alla formazione di sostanze irritanti per lo stomaco e tossiche per il fegato. Meglio consumarlo durante i pasti a crudo per preservarne i contenuti nutrizionali.

FONTI

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ALLERGIE ALIMENTARI: 1 ADULTO SU 10 NE SOFFRE, MA IL DOPPIO PENSA DI AVERLE

Le allergie alimentari sono sempre più diffuse, ma chi davvero ne soffre e chi invece ha solo un’intolleranza ad alcuni cibi? Uno studio americano, pubblicato su JAMA Network Open (gennaio 2019), mette in luce che oltre il 10% degli adulti negli USA (più di 26 milioni) è allergico oppure è intollerante a qualche alimento.

GLI ALLERGENI ALIMENTARI PIÙ DIFFUSI IN USA
Tra i cibi che scatenano allergie alimentari, nella popolazione adulta degli Stati Uniti, al primo posto ci sono i frutti di mare, tra cui crostacei e molluschi (che interessano 7,2 milioni di individui), a seguire latte (4,7 milioni di adulti colpiti), arachidi (4,5 milioni), altra frutta a guscio (3 milioni), pesce (2,2 milioni), uova ( 2 milioni), grano (2 milioni), soia (2 milioni) e sesamo (1,5 milioni). Ancora non è ben chiaro quali siano i meccanismi per cui l’allergia ai frutti di mare si sviluppi più comunemente in età adulta.

LO STUDIO AMERICANO SULLE ALLERGIE ALIMENTARI
La ricerca scientifica pubblicata su JAMA è stata condotta presso il Lurie Children’s Hospital di Chicago, da un team di esperti guidati da Ruchi Gupta (Professore di Pediatria della Northwestern University Feinberg School of Medicine) e ha interessato un campione di 40mila adulti americani. I risultati dell’indagine hanno rivelato che il 19% degli individui adulti in USA, pensa di essere allergico a determinati cibi. Anche se i sintomi riferiti dall’8,2% non sono collegabili a una e vera propria allergia alimentare (che in alcuni casi può essere molto pericolosa, fino a provocare shock anafilattici e mettere a repentaglio la vita di chi ne soffre).

Lo studio portato avanti dal Professor Gupta mette in evidenza che 1 adulto su 10 soffre di allergia alimentare, ma quasi il doppio degli individui adulti intervistati è convinto di essere allergico a qualche cibo. Quando, invece, i sintomi riportati sono più coerenti con un’intolleranza o sensibilizzazione alimentare, come pure ad altre condizioni di salute in generale. Inoltre, attraverso questa indagine, i ricercatori hanno scoperto che solo la metà dei soggetti che dichiarava di avere un’allergia alimentare aveva una diagnosi medica. Mentre chi davvero soffriva di allergia, nella metà dei casi l’aveva sviluppata da adulto. Ecco perché sono necessari ulteriori approfondimenti scientifici per capire come mai le allergie alimentari siano in continuo aumento (in particolare quella ai crostacei), soprattutto per quanto riguarda la popolazione adulta.

In generale, per accertarsi di soffrire davvero di una qualche allergia alimentare, il consiglio degli esperti è di rivolgersi a un medico che possa indicare quali siano le analisi cliniche e i test per arrivare a una diagnosi. Come per ogni condizione che riguarda la nostra salute, anche in questo caso, è di fondamentale importanza evitare il fai-da-te e, invece, affidarsi alle cure di professionisti e operatori sanitari specializzati.

FONTI

Ruchi Gupta et Al. – Prevalence and Severity of Food Allergies Among US Adults – JAMA Network Open January 4, 2019

EFFETTO DELLA DIETA SUL CANCRO ALL’INTESTINO

Il tumore al colon-retto rappresenta il terzo tipo di tumore più comune in Inghilterra, con circa 23mila diagnosi all’anno. Un eccessivo consumo di carne rossa, tra le principali cause. Uno nuovo studio, condotto presso la University of Oxford (Regno unito), mette all’erta dimostrando che anche un modesto apporto di carne rossa può aumentare il rischio di incidenza di tumore all’intestino. I risultati della ricerca sono stati pubblicati su International Journal of Edidemiology (giugno 2019).

ANCHE POCA CARNE ROSSA AUMENTA L’INCIDENZA DEL 20%
In precedenza, sono già stati condotti numerosi studi scientifici sull’associazione dello sviluppo di cancro all’intestino e il consumo di carne rossa. Indagini afferite principalmente a diete relative agli anni ’90 e antecedenti. Il nuovo studio di Oxford (finanziato in parte dalla Cancer Research UK) fornisce dati aggiornati e mette luce, con una visione più attuale, la pericolosità del consumo di carne rossa ai nostri giorni.

Lo studio ha monitorato, per una media di 5,7 anni (dal 2006 al 2010) un campione di quasi 500mila individui di entrambe i sessi, con età compresa tra 40 e 69 anni. Ai partecipanti sono stati fatti compilare questionari sulla frequenza in cui consumavano carne rossa, trasformata e non. I risultati hanno indicato che anche piccole quantità di carne (che sia roast beef, agnello, prosciutto, pancetta o altro) consumata ogni giorno, può aumentare la possibilità di sviluppare un tumore all’intestino del 20%. Ovvero, delle 475.581 persone che hanno partecipato allo studio, ben 2609 hanno sviluppato un cancro al colon.

FIBRE E CEREALI DIMINUISCONO I RISCHI PER CANCRO ALL’INTESTINO
L’analisi dei dati ha rivelato che i soggetti che hanno riferito un consumo medio di 76 grammi al giorno di carne, rossa e trasformata, hanno riportato un aumento del rischio per il carcinoma del colon-retto maggiore del 20%, rispetto a chi invece ha dichiarato di consumare 21 grammi al giorno. In particolare, per quanto riguarda solo la carne trasformata, il rischio di tumore all’intestino è risultato maggiore del 19% negli individui che hanno consumato in media 29 grammi al giorno, rispetto che chi ne mangiava solo 5 grammi al giorno. Per le carni rosse non trasformate, poi, il rischio è risultato maggiore del 15% in chi ne assumeva 54 grammi al giorno, rispetto invece a chi ne mangiava solo 8 grammi al giorno.

Un dato interessante poi, si riferisce all’assunzione di fibre, da pane e cereali per la colazione. In questo caso, i partecipanti hanno avuto un rischio ridotto di tumore al colon-retto del 14%. Mentre il consumo di alcool (per un’assunzione superiore a 10 grammi al giorno) è stato associato a un rischio maggiore dell’8%. Pesce, pollame, formaggio, frutta, verdura, tè e caffè, invece, non sono stati associati al rischio di cancro all’intestino. L’indicazione è di ridurre al minimo l’assunzione di carne rossa e lavorata, a non oltre le due volte a settimana. Per alcuni esperti, ottimo eliminare totalmente la carne rossa dalle nostre tavole.

FONTI
Kathryn E Bradbury, Neil Murphy, Timothy J Key- Diet and colorectal cancer in UK Biobank: a prospective study – International Journal of Epidemiology (April 2019)