Domenica 15 marzo si è conclusa la dodicesima edizione della “Settimana mondiale per la riduzione del consumo di sale”, promossa da World Action on Salt & Health (WASH) (1) (2).
All’evento, come ogni anno, hanno aderito la Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU) e il Gruppo Intersocietario Meno Sale Più Salute (3).
Il tema dell’evento 2020 è stato “Hide and Seek” (ovvero “nascondi e cerca”), pertanto è stata richiamata l’attenzione sulle fonti alimentari di sale nascosto e sulla necessità di ricercare cibi a basso apporto di sale (3).
Secondo i LARN (acronimo che sta per “Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana”), il fabbisogno medio di sale è di 5 grammi al giorno (g/die), corrispondenti a circa 2 grammi di sodio (4).
Negli anziani il limite si fa più stringente, si raccomanda di non superare i 4 g/die, a causa del maggior rischio ipertensivo e cardiovascolare della categoria (6). Nonostante le indicazioni, a livello globale si stima che vengano consumati tra gli 8 e i 15 grammi al giorno (2).
La relazione causale tra consumo eccessivo di sale e malattie cardiovascolari, come ipertensione, infarto e ictus, è ad oggi documentata e accertata da diversi studi. Secondo la WASH, se si riducesse il consumo di sale entro i limiti consigliati, si potrebbero prevenire circa 2,5 milioni di decessi ogni anno (1).
Moderare l’apporto di sale con la dieta consente di ridurre la pressione arteriosa e, di conseguenza, di abbassare il rischio cardiovascolare, in particolare l’incidenza di eventi come ictus cerebrale, infarto e scompenso cardiaco (3).
Nell’evoluzione dell’uomo il sale ha avuto un’importanza fondamentale, essendo stato uno dei primi metodi di conservazione dei cibi. Tuttavia, grazie ai metodi oggi disponibili, del sale aggiunto si potrebbe fare a meno, poiché quello naturalmente contenuto negli alimenti sarebbe già di per sé sufficiente a coprire il fabbisogno fisiologico (6).