Fondazione Valter Longo Onlus, in collaborazione con CADMI – Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate, il primo Centro Antiviolenza nato in Italia nel 1986 (parte di Unione Donne in Italia -UDI- e dell’Associazione Nazionale D.i.Re “Donne in Rete contro la violenza), ha dato vita al progetto “Punti Longevità per i Centri Antiviolenza” all’interno del centro di accoglienza Cadmi.
Lo scopo di questa iniziativa è quello di offrire un ulteriore supporto ed assistenza nutrizionale gratuita, oltre ai dettagliati servizi già offerti da Cadmi, a donne vittime di violenza e in una situazione di difficoltà e fragilità sia fisica che psicologica per iniziare con loro un graduale miglioramento della qualità e dello stile di vita e indirizzarle a un percorso all’insegna della salute, del benessere e di una longevità sana e sostenibile per se stesse e l’ambiente che le circonda. Si tratta di un progetto nato in seguito a una forte esigenza sociale, esasperata dall’emergenza COVID-19 tanto che anche la Nazioni Unite hanno recentemente definito questo fenomeno una vera e propria “Shadow Pandemic” (Pandemia nell’ombra o Pandemia nascosta), e che trae ispirazione dalla Convenzione di Istanbul del 2011, organizzata dal Concilio d’Europa e dedicata alla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne.
I dati della violenza contro le donne prima e durante la pandemia COVID-19
La violenza contro le donne è un fenomeno ampio e diffuso, come indica l’Organizzazione Mondiale della Sanità nel suo Evidence Brief del 2019, che riprende la prima revisione sistematica e la sintesi riguardo i dati scientifici relativi alla violenza (fisica, sessuale, riproduttiva e mentale) sulle donne e realizzata dall’OMS in collaborazione con la London School of Hygiene and Tropical Medicine e il South African Medical Research Council nel 2013. In tutto il mondo:
circa il 35% delle donne, 1 donna su 3, ha subito una qualche forma di violenza fisica e/o sessuale;
circa il 30% delle donne, un terzo al mondo, è stata vittima di violenza da parte del partner;
il 38% dei femminicidi è compiuto dai partner;
il 7% delle donne è stata oggetto di aggressione sessuale;
le donne che hanno subito un abuso fisico e sessuale presentano una maggiore probabilità di soffrire di gravi problemi di salute (depressione, HIV, aborti), ad esempio hanno una probabilità più alta di essere soggette a depressione ed ansia (2.6 volte maggiore) e di disturbi legati all’abuso di bevande alcoliche (2.3 volte maggiore).
Anche in Italia la situazione è grave:
Il report ISTAT pubblicato nel 2015 segnala che nella penisola italiana il 31,5% delle donne fra i 16 e i 70 anni ha subito una qualche forma di violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita e le forme più gravi di violenza sono state esercitate da partner o ex partner, parenti o amici. Gli stupri sono stati commessi nel 62,7% dei casi da partner.
Il Rapporto Istat 2018 sulle vittime di omicidi osserva come il 54,9% degli omicidi di donne sono stati commessi da un partner o ex partner, il 24,8% da parenti, l’1,5% dei casi da una persona conosciuta (amici, colleghi, ecc.).
La pandemia Covid-19, il lockdown, la convivenza forzata, lo stress, i problemi economici e l’eventuale perdita del lavoro hanno intensificato la criticità del problema, come si osserva nel report dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 30 luglio 2020 e in quello del suo ente United Nation Women. L’80% delle nazioni al mondo ha visto un aumento delle chiamate alle helpline, il 50% delle nazioni un incremento delle chiamate e denunce alla polizia, oltre a un aumento generale delle richieste di aiuto ai centri medico-sanitari nella maggior parte dei paesi.
In Italia, l’ISTAT ha analizzato il numero delle chiamate al numero antiviolenza 1522, sia telefoniche sia via chat, nel periodo compreso tra marzo e giugno 2020 ed è più che raddoppiato rispetto allo stesso periodo nel 2019 (+119,6%), passando da 6.956 a 15.280. Come viene giustamente indicato, questo incremento non è attribuibile necessariamente solo a maggiore violenza ma anche alle campagne di sensibilizzazione. Tuttavia, risulta doveroso sottolineare come i dati raccolti negli ultimi anni non siano sufficienti a trarre conclusioni anche perché il fenomeno è in gran parte ancora sommerso.
La violenza, le sue conseguenze, l’alimentazione
Come indica l’Organizzazione mondiale della sanità nel suo report, la violenza ha un forte impatto sulla salute fisica e mentale e anche sulla longevità delle donne in questione e, sfortunatamente, spesso anche su quella dei loro figli. Ad esempio, una recente revisione di diciassette studi ha mostrato che le donne in gravidanza che subiscono violenza da parte del partner, sia essa fisica che psicologica, possono avere circa 3 volte più probabilità di subire la morte del feto rispetto alle donne che non subiscono violenza.
In aggiunta, diversi feedback del settore hanno dichiarato che esiste una diversa e recente forma di violenza e manipolazione, protratta attraverso il cibo e che potremmo definire “alimentare”: in molti casi, il partner fa uso del cibo come metodo di controllo della donna, attraverso l’applicazione di lucchetti sulle dispense alimentari o l’adozione di tecniche manipolative che utilizzano il cibo come elemento di premiazione, che hanno quindi come conseguenza una cattiva salute mentale. Questa condizione estremamente destabilizzante (la non sicurezza alimentare, la preoccupazione persistente del cibo, la mancata possibilità di avere accesso fisico, sociale ed economico ad alimenti sufficienti, sicuri e nutrienti) non permette a molte donne di condurre una vita attiva e sana. L’importanza dell’alimentazione è quindi provata, quale necessità umana fondamentale che, se soggetta a divieti o abusi, crea meccanismi psicologici, oltre che fisici, di squilibrio.
Di conseguenza, è comprensibile come, nel cammino di ricostruzione di donne psicologicamente provate nel centro della loro umanità e personalità, sia necessario partire anche da elementi fondamentali come il cibo, quale fonte di “conforto” fisico e mentale, e anche quale elemento di socialità per ricostruire un’esistenza spesso smossa dalle fondamenta. La nutrizione può essere, infatti, un fattore importante in un periodo di transizione. La disponibilità di cibo nutriente, l’informazione sull’alimentazione più indicata a seconda della persona e della specifica condizione fisio-patologica, così come tutto ciò che gravita intorno al cibo, e quindi anche l’aspetto ludico e sociale, sono tutti aspetti che possono supportare la donna che ha subito un trauma, sia nell’immediato che nell’ottica di reinserimento sicuro nelle attività quotidiane.
Il CADMI ha inoltre potuto osservare che le donne, verso la fine del percorso di uscita dalla situazione di violenza o subito dopo aver completato il loro cammino, possono vivere momenti di sconforto e l’alimentazione diventa in questi casi scorretta e malsana. Non solo la nutrizione gioca un ruolo importante nella regolazione ormonale del nostro corpo, ma può diventare anche un elemento di sicurezza e confort per le donne che affrontano questi momenti. Di conseguenza, un supporto anche nutrizionale può essere un importante complemento in un percorso di riavvicinamento a un’esistenza sana e protetta.
“È quindi comprensibile che progetti come i “Punti di Longevità per i Centri Antiviolenza” possano portare benefici alle donne vittime di violenza e contestualmente alle loro famiglie.
Lo scopo è quello di offrire un ulteriore e complementare percorso affiancato ai programmi di supporto ed assistenza del CADMI per raggiungere il benessere sia fisico che mentale, essenziali per un’esistenza sia sana che serena, spesso negata a molte donne. L’adesione al progetto da parte della Fondazione testimonia come percorsi di assistenza e di empowerment nutrizionale possano essere forme innovative di cura e rafforzamento per le donne ed essere elementi importanti sul territorio per supportare coloro che hanno subito varie forme di violenza.
Come emerge anche dagli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite inclusi nell’Agenda 2030, la salute è un diritto essenziale. Difendere questo diritto, partendo da un fattore fondamentale quale una corretta alimentazione, in particolare delle donne vittime di violenza, è una sfida importante da cogliere. ” – ha dichiarato Cristina Villa, Direttrice dei Programmi di Fondazione Valter Longo Onlus che dal 2017 opera in Italia per dare assistenza nutrizionale a pazienti svantaggiati e realizzare progetti di educazione alimentare nelle scuole.
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